Roma - «E che cazzo, è solo una commedia!», sbotta Enrico Brignano, alla fine della matinée cinematografica, nel corso della quale i cronisti impegnati cercano la rivoluzione impossibile dai figli di Steno. Che si pretende dalla commedia di costume, targata Vanzina e intitolata (alla Frank Capra) La vita è una cosa meravigliosa (dal 2 aprile), film di Pasqua din-don-dan con Gigi Proietti, Vincenzo Salemme, Nancy Brilli e con lui, il comico romano, qui parodia all’amatriciana del tedesco Ulrich Mühe, protagonista dell’oscarizzato
Le vite degli altri? Sì, stavolta gli scaltri fratelli «Vacanzina» mettono al centro del loro svagato raccontino il problema delle intercettazioni, con tutto quel che ne consegue. Vale a dire: vite stravolte, rivoluzioni personali, amare disillusioni, istantanea dell’Italia odierna («Qua si pubblicano le intercettazioni, non i processi: c’è gente, come l’imprenditore napoletano Romeo, che dopo un paio d’anni di galera esce assolta, per fatti mai commessi e, così, il futuro è triste», osservano i cineasti dei Parioli e dargli torto non è cosa: «Le intercettazioni non andrebbero pubblicate»). Brignano, con la sua faccia spessa da romanaccio de core, qua fa il poliziotto di Stato, dedito a intercettare la vita dei puzzoni di Roma, quelli che tutti i santi giorni la cronaca ci sbatte sotto gli occhi, levandoci ogni voglia di campare da persone normali. Appizzando le orecchie, tuttavia, lo spione Cesare, da incuffiato sente pure i cavoli della sua ragazza, la solita rumena bona, che di giorno è la sua brava fidanzata e di notte esercita il mestiere più antico del mondo, con uno dei tanti manager della malasanità, pieno di soldi pubblici da spendere con le escort, quindi messo sotto controllo. «Volevo comprare una pompa di benzina per la mamma...», si scusa lei. «Nun me parlà de pompe!», stronfia lui, nella sala d’ascolto dove altri poliziotti come Cesare fanno i guardoni con le orecchie.
A questo punto, si dovrebbe ridere (e forse si riderà), ma la realtà ha ormai superato la fantasia e voglia di farsi due risate, sulle nostre piaghe nazionali, non ce n’è, a un passo dalle regionali. E il fatto che spostino Cesare, poi finalmente in coppia con una ragazza seria (Luisa Ranieri, troppo avvenente per fare, come qui, l’ingenua massaggiatrice di periferia) «dalla monnezza a Vallettopoli» è un’aggravante: certe cose succedono, omogeneizzarle con un «ridendo castigat mores», non è aria. «Questo film nasce dal desiderio di realizzare un film ottimista. Ci sembrava giusto, in un momento di crisi globale, mettere in scena una commedia che dia speranza agli spettatori.
Che li faccia uscire dal cinema con un sorriso disteso», fanno all’unisono Carlo ed Enrico Vanzina. I quali hanno l’indiscutibile pregio di accarezzare, mettendoci su il velluto, ogni angolo della capitale, irriconoscibile per quanto la rendono appetibile e smaltata (vedi il ballo delle debuttanti, con le ragazze della crema quirite, che escono all’alba, in tulle bianco, verso Ripetta, o Piazza San Silvestro, dove Cesare abborda la ragazza intercettata a sua insaputa). Né manca quella leggerezza, che fa dire al servitore negro Dada (colf a casa della coppia Brilli/Proietti, lei casalinga di lusso, lui medico affermato) d’aver svoltato «come buana Silvio Berlusconi», tra belle case e comfort.
«Non è un film su commissione, perché abbiamo sempre fatto la commedia. Pensavamo a Le vite degli altri e agli altri, che siamo noi. È dai tempi di Monicelli, Age e Scola che i personaggi negativi vengono visti con affetto. Solo nella commedia a tesi si mettono i buoni da una parte e i cattivi dall’altra», osserva Enrico Vanzina.
Mattatore indiscusso resta Proietti( a breve dirigerà la Carmen di Bizet), chirurgo cialtrone, che, disilluso, aprirà un ospedale in Botswana. Dove sua moglie s’aggira con una pashmina da pariolina, che irrita, citando inossidabili tic del generone romano.