Intercettazioni a strascico per incastrare il Cav

Ascolti senza ipotesi di reato: la presunta estorsione ai danni di Berlusconi sarebbe da collegare con il pagamento a Lavitola di 4 mesi prima. Ma ci sono troppoi punti dell'inchiesta che non quadrano 

Intercettazioni a strascico per incastrare il Cav

Simone Di Meo
Gian Marco Chiocci


Come nasce l’inchiesta napoletana sulla presunta estorsione al premier? Nessuno se l’è domandato accontentandosi di quel che annota il gip nella sua ordinanza d’arresto: trattasi di un troncone scaturito da un’altra inchiesta, su Finmeccanica. Ma se si presta attenzione a quel riportano i magistrati nelle carte cresce il dubbio che alla grave ipotesi di reato i pm arrivino con intercettazioni a strascico sul telefonino che quel furbo (sic!) di Valter Lavitola crede sicuro. Nell’ordinanza per il responsabile de l’Avanti e per i coniugi Tarantini si fa soltanto riferimento a una pregressa attività d’indagine riguardante i «loschi affari» intrattenuti dal giornalista con le società della holding aeronautico-militare (Augusta, Selex e Telespazio Brasile), niente di più.

ASCOLTI A STRASCICO

Eppure sarebbe importante scoprirlo, visto che tanto la presunta vittima (Silvio Berlusconi) quanto il presunto carnefice (Gianpaolo Tarantini) concordano nel dire che non c’è stato alcun tentativo di taglieggiare il presidente e che i soldi (un prestito) sono stati elargiti per aiutare una famiglia in difficoltà molto prima dell’apertura stessa del fascicolo. Dunque, da dove è uscita fuori e qual è la notizia di reato che avrebbe dovuto dare l’avvio alle indagini e che, soprattutto, dimostrerebbe il pagamento della tangente? Fate attenzione alle date e converrete che più di qualcosa non torna. Allora: Berlusconi consegna a Lavitola i 500mila euro a marzo 2011, ma l’apertura del fascicolo e le prime intercettazioni che prevedono un passaggio di soldi collegato al presunto ricatto risalgono a maggio (due mesi dopo). Tra luglio e agosto (tre-quattro mesi più tardi), la Digos redige quattro informative che rappresentano l’ossatura della richiesta d’arresto, collocando in questo periodo le ultime conversazioni che per i pm sono poi le più rilevanti ai fini della dimostrazione dell’estorsione in divenire (peccato che i soldi, come visto, sono già stati già consegnati a Lavitola da più da 60 giorni). Nonostante scarseggino i presupposti dell’estorsione, Lavitola i coniugi Tarantini finiscono in cella.

RISCHIO D’INCOMPETENZA

Non solo. Di fronte all’evidenza di una competenza a indagare di Roma e non di Napoli il giudice scivola in un clamoroso autogol riuscendo a evidenziare due concetti che fanno a pugni tra loro: e cioè, che «il luogo di consumazione del reato in contestazione appare tutt’ora incerto» e che il collaboratore di Lavitola e la moglie di Tarantini, Angela Devenuto si recavano a prendere i soldi presso il «domicilio romano di Silvio Berlusconi, Palazzo Grazioli in via del Plebiscito». Il gip poi si supera quando osserva che essendosi i reati consumati tra la Capitale e un’altra dozzina di regioni, l’inchiesta resta nell’unica città dove non si è verificato nulla (Napoli) solo perché uno degli indagati (gli altri due no) è coinvolto in un’altra inchiesta napoletana (la P4). Dunque: i pm partenopei indagano su un’estorsione che non c’è, seguendo soldi che sono già finiti nelle tasche di Lavitola prima dell’inchiesta e dell’estorsione stessa, senza considerare che il tutto si svolge lontano da Napoli e che, a questo procedimento, sono collegati altri due fascicoli «bomba» dei sostituti napoletani, uno dei quali rischia il trasferimento a Roma. Quello su Finmeccanica, appunto. Se saltasse l’inchiesta sui presunti ricatti al premier, la Procura di Napoli dovrebbe passare la mano su tutto essendo «collegato». Il motivo lo spiega, ancora una volta inconsapevolmente, il gip a pag. 79 dell’ordinanza a proposito della «posizione dell’indagato Lavitola Valter, a carico del quale pendono presso questa stessa A.G. altri paralleli e connessi procedimenti (proc. 43725/09 Finmeccanica; proc. 39306/07 Bisignani) di cui lo stesso Lavitola parla nel corso delle conversazioni intercettate. Proprio dalle indagini eseguite in quei procedimenti sono scaturite, peraltro, le investigazioni che hanno condotto all’odierna imputazione, sicché può senz’altro affermarsi che sussista una connessione tra i detti procedimenti». Il fascicolo sui ventilati ricatti al premier rischia di diventare, allora, il tallone d’Achille della procura essendo il reato di estorsione ben più grave (e quindi con una forza attrattiva maggiore) rispetto a quelli contestati negli altri fascicoli, come ad esempio l’associazione per delinquere semplice.

IL MISTERO BERGAMASCO
Le ulteriori stranezze dell’inchiesta napoletana non si fermano qui. Un capitolo a parte meriterebbe la scelta del gip di sbattere in cella la moglie di Tarantini per poi concederle dopo solo 24 ore i domiciliari (così come prescrive la legge per le mamme con figli piccoli) o la decisione di inserire nella misura cautelare temi che non hanno rilevanza penale: la liason (definita amante) con Lavitola, le conversazioni di quest’ultimo con il consigliere militare del premier, i giudizi avventati su cronisti e alti funzionari di Palazzo Chigi, passaggi delle chiacchierate di Lavitola col premier.

Resta un altro mistero: che cosa intende dire Tarantini il 17 giugno quando, rispondendo a Lavitola che lo mette in allarme sul fatto che «questi hanno sgamato tutto», sibillino dichiara: «Ma quelli di Napoli o quelli di Bergamo?». Bergamo? Che c’entra Bergamo?

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