Ma perché il governo Renzi ha scelto un uomo alla presidenza delle Ferrovie dello Stato? Vi sembrerà una domanda retorica e del cavolo. Mica tanto se si prendono a riferimento le nomine tutte al femminile fatte dal governo per le partecipazioni statali. Forse perché il presidente delle Fs ha un bel po' di poteri, a differenza delle sue neocolleghe? Nooooo. Tra poco vedremo meglio.
La vera domanda, riguardo chi guiderà i trenini, è però un'altra. Per quale misterioso motivo è stato rinnovato tutto il consiglio di amministrazione, che non era in scadenza. Formalmente non ce n'era bisogno. Era necessario sostituire il capo azienda, Mauro Moretti, che è stato spostato dal medesimo governo in Finmeccanica (ma al doppio dello stipendio, ben meritato, se no Moretti, ora che tecnicamente può, ci bombarda). Il numero due del gruppo (Michele Mario Elia) avrebbe preso il suo posto e tutto sarebbe potuto finire lì. E invece no: si è voluto rinnovare l'intero consiglio. Fare fuori il vecchio presidente (Cardia era l'ultima scelta lettiana, inteso come Gianni) e procedere alla nomina di un totale di nove consiglieri. Quattro in più rispetto alla passata gestione.
Ricapitoliamo: il consiglio poteva essere completato facendo salire come amministratore Elia, e invece il governo Renzi ha fatto secchi tutti e, già che c'era, ha aumentato le poltrone in piazza della Croce rossa. Il ministro Lupi avrebbe voluto mantenere quota cinque, semmai mediare per sette. Ha perso su tutta la linea: si è arrivati a nove. Di questi, un paio sono attribuibili proprio a lui. Elia, l'ad, è un manager vicino a Moretti, che addirittura in una messa pasquale nel saluto ai dirigenti (sacro e profano) aveva assicurato la continuità in azienda con il suo Elia.
Marcello Messori, il nuovo presidente, è stato pescato invece nella pattuglia dei dalemiani. Possiamo dunque semplificare: quota ministro dell'Economia, Padoan. O sarebbe meglio dire dal gruppo di Italiani Europei, la fondazione di «Baffino» da cui proviene proprio il ministro dell'Economia, azionista delle Ferrovie.
Prima chiave di lettura sulle presidenze assegnate da Renzi in questa tornata di nomine. Le donne hanno pochi poteri, ma spolverano l'immagine del governo. Un solo presidente confermato: De Gennaro a Finmeccanica. Grazie all'alto servizio reso nelle forze dell'ordine e a un certo rapporto con l'alto Colle. Anche se appena arrivato Moretti ha subito ridimensionato le deleghe di De Gennaro, che ha perso comunicazione e relazioni esterne. E anzi, quel duro di Moretti non fa mistero di voler comandare su tutto e tutti: ha reintrodotto i badge per i dirigenti, ne ha licenziato uno dopo poche ore e già tagliato consulenze e contrattini per molti ex finmecca. Vabbè, ne riparleremo.
Ritorniamo all'ex regno di Moretti, e cioè le Ferrovie. Dicevamo che il governo Renzi, zitto zitto, ha proceduto a un bel pacchettino di nomine, aumentando, con poca logica economica, i posti in consiglio.
I due consiglieri di Lupi, sono una donna e un uomo. Daniela Carosio è un caso niente male. Fino a pochi mesi fa direttore delle relazioni esterne proprio delle Fs (sponsorizzazioni, pubblicità ed eventi), dopo una serie di scontri era stata fatta fuori proprio da MM. Ritorna in azienda come consigliere. Un bello schiaffetto e una perfida rivincita che Lupi si deve essere preso contro un ad che faceva tutto per conto suo. Il secondo consigliere di Lupi è Giuliano Frosini, ex capo di gabinetto di Bassolino, buoni rapporti con i cattolici e la sinistra, e capo delle relazioni istituzionali di Terna. Ingegnere, con qualche conflitto quando si discuterà di reti ad alta tensione ed elettricità in Ferrovie (soprattutto alla luce dei tagli agli aiuti che il ministro Guidi intende varare entro la fine di giugno).
Tolti presidente e amministratore delegato, e i due «lupiani» restano cinque consiglieri. Tutti in quota Renzi. Anche se ovviamente con sfumature diverse. Un altro responsabile di affari istituzionali ed esperto di comunicazione (e così arriviamo alla bellezza di tre su nove consiglieri) è Simonetta Giordani. Ex sottosegretario alla Cultura con Letta non ha l'obbligo dell'anno sabbatico, poiché cultura e binari non si incrociano, ma potrebbe avere qualche imbarazzo riguardo alle Grandi Stazioni. Società controllata oltre che dalle Ferrovie anche dal gruppo Benetton, dove la Giordani si è occupata appunto di affari istituzionali. La Giordani è una renziana della prima ora. Così come Federico Lovadina, se è lo stesso Lovadina (sul sito delle Fs non si rintracciano ancora i curriculum) nominato da Renzi sindaco in una partecipata fiorentina. Tributarista, ha iniziato la sua carriera insieme al ministro Boschi, nello studio di Francesco Bonifazi. Con un profilo meno smaccatamente toscano (i contatti ci sono con Firenze) anche i rimanenti tre consiglieri. Anche se Vittorio Belinguardi Clusoni, ex Sea e Trenord, potrebbe sembrare un «lupiano», il tam tam della politica romana lo attribuisce (chissà se è vero) a un accordo tra Renzi e Denis Verdini. Ah, saperlo, scriverebbe Dagospia.
Quello che noi possiamo sapere è che il cda delle Fs è lievitato da cinque a nove. Che in esso ci sono tre esperti di relazioni esterne (attesi miglioramenti per la rivista Frecciarossa). E che l'aumento di queste poltrone non sembra sia dettato da nulla, se non da la voglia di occuparle.
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