È bello smentire Indro Montanelli che pensava di finire dimenticato nel giro di un paio di generazioni. È bello sapere che non ha scritto sull'acqua, come lui disse; o esiste la memoria dell'acqua, come dicono alcuni scienziati. Comunque fa piacere vedere un ragazzo che non fece in tempo a essere neanche lettore del Giornale diretto da Montanelli dedicare un libro a Indro «raccontato da chi non c'era» (Tutte le speranze edito da Rizzoli).
Paolo Di Paolo ha già curato due belle antologie montanelliane, ma questa non è una biografia né un saggio critico, non aggiunge nulla ai testi già usciti e racconta cose già note a chi ama Montanelli. Ma è bello vedere che il mito e la scrittura di Indro abbiano contagiato un «postero» che per giunta pende a sinistra. Vorrei obiettargli solo una cosa. Ha tutto il diritto di criticare il Giornale dopo Montanelli, una cosa però non può fare: disprezzare come una «bolla di retorica» le pagine uscite sul Giornale alla sua morte.
Chi scrisse di lui sul Giornale lo aveva amato e ammirato per una vita, salvo gli ultimi anni. Come, del resto, gran parte dei suoi lettori.
Perché considerare autentici i necrologi corali della stampa che lo aveva detestato per una vita e lo riabilitò solo negli ultimi sette anni in quanto antiberlusconiano, e ritenere invece ipocriti i ricordi di chi lo aveva amato per i precedenti sessant'anni da conservatore, anticomunista e alle origini fascista?È più falso elogiare l'ultimo decimo di Montanelli dimenticando i primi nove, che fare l'inverso.
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