Metamorfosi Grasso: da allievo di Falcone a generale di Bersani

Una vita da magistrato, stregato dalla politica e candidato al Senato fino a ricoprire la seconda carica dello Stato. Ora imbrigliato dal Pd

Metamorfosi Grasso: da allievo di Falcone a generale di Bersani

Da magistrato, a parlamentare, a presidente del Senato. Un passo lungo e ben disteso per Pietro Grasso, classe 1945, nato a Licata, in provincia di Agrigento, e cresciuto a Palermo, che ieri, dopo una lunga serie di fumate nere e fumogeni di polemiche ha conquistato, con 137 voti, il sospirato (dal Pd) quorum per salire sullo scranno più alto di Palazzo Madama.

Una storia in prima linea quella di Grasso, che ha cominciato la sua carriera di magistrato nel 1969 a Barrafranca, in provincia di Enna, per proseguire a Palermo nel 1972. Nel 1980 la grande visibilità, quando diventa titolare dell'inchiesta sull'omicidio del presidente della Regione Sicilia Piersanti Mattarella, nel 1984 ricopre l'incarico di giudice a latere nel primo maxiprocesso a Cosa nostra che conta 475 imputati. Conclusosi il maxiprocesso, Grasso viene nominato consulente della Commissione antimafia, guidata da Gerardo Chiaromonte prima e poi da Luciano Violante. Nel maggio 1991 è chiamato da Giovanni Falcone al ministero della Giustizia come esperto dei problemi attinenti alla criminalità organizzata ed alla connessa attività di iniziativa legislativa. E dopo la strage di Capaci, sostituisce Falcone come componente della commissione centrale per i programmi di protezione di testimoni e collaboratori di giustizia. Nel gennaio del 1993 passa alla procura nazionale antimafia e collabora alle indagini che portano alla cattura di Leoluca Bagarella. Nel maggio 1999 è nominato, dal procuratore Pier Luigi Vigna, procuratore nazionale antimafia aggiunto. Un ruolo ricoperto fino al 5 agosto 1999, quando va a dirigere la Procura di Palermo. Sotto la sua direzione sono stati eseguiti 1.779 arresti per mafia, catturati 13 latitanti - tra i 30 dei più pericolosi - ottenuti 380 ergastoli e centinaia di condanne per migliaia di anni di carcere e sequestrati beni per circa 12mila miliardi di vecchie lire.

Il 25 ottobre 2005 diventa procuratore nazionale antimafia e l'11 aprile 2006, a conclusione di una strategia investigativa che aveva già avviato, quando era a capo della Procura di Palermo ha ottenuto il suo più eclatante successo: la cattura, dopo 43 anni di latitanza, di Bernardo Provenzano, latitante dal 9 maggio 1963.

Anche un impegno televisivo figura nel suo curriculum: nel settembre 2012 per Rai Storia, ha ideato Lezioni di Mafia: un progetto di educazione alla legalità, in 12 puntate dedicato alle generazioni più giovani per spiegare tutti i segreti di Cosa nostra. Il programma si ispira alle lezioni di mafia ideate nel 1992 dall'allora direttore del Tg2 Alberto La Volpe, assieme a Giovanni Falcone, una delle ultime iniziative del magistrato palermitano stroncata dall'attentato di Capaci. Lezioni di Mafia si è proposta, come obbiettivo, quella di scavare dentro il sistema mafioso sviluppando, puntata dopo puntata, una radiografia fatta di nomi, regole, storie, rete di complicità, intrecci, misteri, ambiguità. Nell'autunno del prossimo anno il suo incarico di procuratore nazionale antimafia si sarebbe concluso. Sarebbe potuto restare in magistratura sino al primo gennaio 2020. Ma ha deciso di dare le dimissioni irrevocabili dall'ordine giudiziario lo scorso dicembre, quando ha ufficializzato il suo passaggio in politica, candidandosi nelle liste del Pd in vista delle elezioni.

Eletto senatore ha subito deciso, assieme a molti altri colleghi parlamentari, di aderire al progetto «Riparte il futuro» firmando la petizione che ha lo scopo di revisionare la legge anti-corruzione, modificando la norma sullo scambio elettorale politico-mafioso (416 ter) entro i primi cento giorni di attività parlamentare. Ma davvero, d'ora in poi, il Pd di Bersani gli consentirà quel margine di manovra indispensabile per «far ripartire il futuro» anche e soprattutto dalla sua nuova poltrona di Palazzo Madama?

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