Che follia se la politica insegue twitter

La sinistra è passata dalla dittatura del proletariato a quella dei follower. Dalla definizione di coloro che seguono un qualsiasi leader su Twitter, la nuova piazza urlante della politica italiana

La sinistra è passata dalla dittatura del proletariato a quella dei follower. Dalla definizione di coloro che seguono un qualsiasi leader su Twitter, la nuova piazza urlante della politica italiana. E la novità non è affatto positiva.

Abbiamo sostituito la «gente», il «popolo», le «piazze» con Twitter. La cosa, significativa dal punto di vista del costume, sarebbe comunque irrilevante se tutto filasse per il verso giusto. Il leader si apre un account (un profilo) sulla bacheca elettronica. Scrive le sue frasette da massimo 140 caratteri. E un gruppo di persone più o meno interessate lo segue, gli scrive, lo incalza. Ma qua si è ribaltato tutto. Come ha dimostrato lo psicodramma del Pd per l'elezione del presidente della Repubblica, i leader sono diventati follower e i follower sono diventati leader. Un ribaltamento completo dei ruoli. Che ha la sgradevole conseguenza di autoalimentarsi. Più i seguaci (chiamiamoli così all'italiana) diventano dominus della politica, più i leader diventano marionette in balia dell'onda del momento. C'è una pericolosa, pericolosissima tendenza (si chiama così anche nella rete) a formare un'equazione: pensiero dei follower, urla della rete uguale democrazia. Dobbiamo cambiare tutti pusher: inteso come spacciatore di sostanze psicotrope. La rete, Twitter, non ha nulla a che vedere con la democrazia e non ne è neanche una sua pallida approssimazione. Ciò non vuol dire che essa non sia importante, che non si debba ascoltare, farsene dominare però è da fuori di testa. «Ma avete visto cosa scrivono su Twitter?» diceva un parlamentare di peso nei giorni scorsi in occasione del tentativo Marini. Sono forse suoi iscritti, o elettori? No, solo follower che sono lì, in alcuni casi, proprio per condizionarlo senza pagare alcun prezzo di iscrizione al club. Non sono uomini in carne e ossa: sono Avatar di un mondo perfetto in cui non esiste un second best, ma solo l'ottimo. Alcune volte sono perfetti idioti che spiegano a Bersani come Marini sia un vecchio arnese della politica, mentre Prodi o Rodotà siano due volti nuovi. Non è importante la ragionevolezza del loro pensiero, ma i retwitt (rilanci) che ottengono; l'onda sulla rete che trasfigura un leader debole in un vinto follower.

Ci stiamo facendo condizionare (il discorso vale per tutti) dall'umore mutevole e immediato che si riscontra sui social network. È come se la politica degli anni '70 si fosse fatta dettare la linea solo (una parte per la verità lo ha fatto) dai Boia chi molla o dai Kossiga scritti sui muri. Con il piccolo particolare che i graffiti elettronici avvengono in tempo reale. Non sono punibili (grazie al cielo, anche se la libertà d'insulto non si capisce perché sia lecita se intermediata da un pc) e danno l'impressione di essere numerosi. I numerosi gradassi dei social network sono simili a quegli automobilisti incazzosi che vi insultano da lontano. Sono tutti leoni quando sono protetti e chiusi al calduccio dell'involucro di metallo e vetro: un tempo facevano gestacci, oggi urlano e insultano. E anche la rete dà quella tiepida e vigliacca sensazione di poter insultare liberamente un terzo con la certezza di non guardarlo mai dritto negli occhi, senza alcuna possibilità di replica. Con il pensierino irresistibile per il quale la rete è democratica, disinteressata, numerosa, giusta e sempre libera.

Ma fateci il piacere.

Se ci fosse stato Twitter la Thatcher sarebbe stata sommersa di pernacchie. Così come la Signora di ferro se ne sarebbe bellamente infischiata. I nostri leader che diventano follower sono l'incubo di una democrazia. È il grande fratello degli eterodiretti.

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