Roma - Stop alla rata di giugno dell'Imu, massimo impegno per evitare l'aumento dell'Iva. Poi riscrittura della riforma Fornero e un fisco meno occhiuto che favorisca il lavoro. Senza entrare nel dettaglio delle proposte, nel suo primo discorso da premier, alla Camera dei deputati per la fiducia, Enrico Letta ha delineato un programma di svolta che ricorda quello del Pdl. Se il Pd ha avuto più ministeri, insomma, il centrodestra ha incassato un'agenda che - almeno nelle intenzioni - ha un'impronta simile al suo programma. Fin dalla premessa: «Di solo risanamento l'Italia muore. Le misure per la ripresa non possono più attendere».
L'Imu, tema cardine di tutta la trattativa, è arrivato a pochi minuti dall'inizio del discorso. Il premier ne ha parlato dopo avere dato ampie rassicurazione sul carattere europeista dell'esecutivo (oggi sarà a Berlino dal cancelliere Angela Merkel, nei prossimi giorni a Parigi e Bruxelles) e sul rispetto del rigore. Farà parte delle prime misure suo governo. Quelle per le quali il ministro Fabrizio Saccomanni è già alla ricerca di una copertura.
Serve «una politica fiscale della casa che limiti effetti recessivi». Occorre anche «superare l'attuale sistema di tassazione della prima casa, intanto con lo stop ai pagamenti di giugno per dare al Parlamento il tempo di elaborare e applicare una riforma complessiva che dia ossigeno alle famiglie, soprattutto quelle meno abbienti».
Tradotto, non si pagherà la rata di giugno dell'Imu sulla prima casa. I comuni dovranno rifare i bilanci, in attesa dei trasferimenti. Per la sola seconda rata servono due miliardi. Nessun cenno alla restituzione delle rate Imu del 2012, che costa altri due miliardi e il Pdl continua a chiedere.
Per il futuro, sarà il Parlamento a decidere se scegliere la via della franchigia fino a 500 euro (costo per le casse dello Stato di 2,5 miliardi) oppure l'abolizione totale sulla prima casa (4 miliardi all'anno).
Lo stop di giugno è comunque certo e non sarà l'unica retromarcia sulle tasse. Letta ha detto che è «necessario lavorare» alla «rinuncia all'inasprimento dell'Iva». L'intenzione di congelare l'Iva al 21% c'è, resta da definire la copertura. In generale, la lotta all'evasione rimane un elemento chiave. Ma «non devono pagare i soliti noti». Serve un «fisco amico», evitando che «il nome Equitalia provochi brividi».
Tra le altre misure di spesa immediata citate dal premier, il rifinanziamento della cassa integrazione straordinaria, il «superamento del precariato» nella pubblica amministrazione e la vicenda degli esodati. Nessun cenno al rinvio della Tares, che rimane nel menu. Costo complessivo delle misure: tra i 10 e i 15 miliardi.
Ma ci sono anche gli impegni di lungo termine. Vere e proprie riforme economiche. Sgravi fiscali per i neoassunti, una politica industriale che «valorizzi i grandi attori, ma anche le piccole e medie imprese che sono il vero motore del Paese», favorendo aggregazioni e internazionalizzazione. Una burocrazia che non penalizzi chi vuole fare («bisogna rivedere l'intero sistema delle autorizzazioni»). Un piano per l'edilizia scolastica, incentivi per l'innovazione e la ricerca da sostenere con i «project bond».
Per quanto riguarda il Welfare, Letta accenna anche a un «reddito minimo», limitato alle «famiglie bisognose con i figli». Ma l'altro vero strappo rispetto al governo precedente, oltre a quello sul fisco, è sul lavoro. C'è il ritorno all'apprendistato in versione «semplificata e rafforzata» e poi una modifica alla «legge 92», cioè la riforma del Lavoro firmata da Elsa Fornero, per «ridurre le restrizioni al contratto a termine, almeno fino a quando dura la crisi economica».
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