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Il Molleggiato moralista non fa la fila all'ospedale

Adriano Celentano si è rotto un mignolo, ma ha saltato le code al pronto soccorso: gli hanno fatto subito le lastre e poi via a casa. Perché per lui la sanità è rock e per gli altri lenta

Il Molleggiato moralista non fa la fila all'ospedale

Anche i divi si rompono il mignolo, uno dei dolori più atroci nel panorama umano, ma quando se lo rompono i divi è tutta un'altra vita. Il Molleggiato è finito in prima pagina sul Secolo XIX per questo infortunio, ma soprattutto per come l'ha risolto: corsa in taxi dalla casa di Bordighera all'ospedale di Sanremo, niente coda al Pronto soccorso, niente giochino dei quattro colori per definire urgenza e tempi d'attesa, niente di niente. Subito in sala raggi, rapido (clamoroso: anche negli ospedali italiani esiste questo aggettivo) rapido verdetto rassicurante, quindi di nuovo a casa con il taxi che aspettava nel piazzale, in totale mezz'ora (personalmente, ho pensato molto a quanto mi sarebbe costato quel taxi se l'avessi lasciato fuori ad aspettare che tornassi io, da un pronto soccorso italiano).

Come diceva Lui, un infortunio rock. E la sanità pubblica, rock pure quella. È lenta, molto lenta, quella delle persone comuni, che bivaccano e gemono per ore nelle astanterie con il loro dolore e il loro colore, sentendosi ripetere da un personale esasperato sempre la solita frase, signore, non siamo qui a giocare, prima le urgenze e poi veniamo da lei, invece di lamentarsi pensi piuttosto alla sua fortuna, di là abbiamo un infartuato e una signora con l'ictus. Attesa e senso di colpa.

Spiegano all'ospedale che lasciare nella normalità un divo comporta seri problemi, se non di ordine pubblico, comunque di ordinata gestione del lavoro. Tutta quella gente che passa inquadrando con i telefonini, è lui o non è lui, certo che è lui, e la richiesta di un autografo, e Adriano che è successo, e Adriano lo sai che canto sempre Azzurro sotto la doccia?

Tutto questo è vero: non è facile tenere in coda per ore una celebrità, tra gente comune che tra l'altro non sa come passare il tempo, in attesa della nonna fratturata. Però, allora, dobbiamo piantarla con i nostri piagnistei da società civile, con l'etica sanculotta del siamo tutti uguali di fronte agli enti pubblici. Ammettiamolo serenamente, dall'Italietta di Alberto Sordi non è cambiato proprio nulla. La star in coda è utopia proibita, in Posta non ne parliamo, figuriamoci se ha pure un accidente: finirebbe per alterare le sofisticate efficienze del nostro servizio sanitario nazionale.

Noi possiamo anche rassegnarci, però Celentano deve dirlo apertamente: questa rassegnazione non è rock. È lenta, molto lenta. Ma forse così l'intera questione è malposta, perché attribuisce a noi utenti e all'ospedale il peso delle scelte. Effettivamente, per come l'abbiamo tutti conosciuto, per come si è presentato nell'ultimo mezzo secolo, santone e Torquemada, integralista e Savonarola, Celentano è il tipo d'uomo - di star - che per primo alza la mano e mette tutti a tacere con poche parole delle sue: non sono diverso dagli altri, aspetto il mio turno. Il Celentano che conosciamo noi non permette a nessuno di farlo passare davanti, di sbrigarsela in mezz'ora per un mignolo. Adriano è un uomo tutto d'un pezzo, che in memorabili serate ha diviso le cose e le persone, come un dio nel giorno del giudizio, in rock e in lente, cioè in buone e cattive. Un'icona del genere non combacia minimamente con il vip che salta la coda. Fatalmente, quello visto in ospedale fa concludere alla platea che in Italia, e magari ovunque, c'è sempre qualcuno più uguale degli altri.

Adriano, la battuta non è per niente rock, anzi è banalotta e pure vecchia, diciamo molto lenta, ma chissà perché suona sempre più vera.

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