Economia

Svelato il piano: uccidere il nostro benessere

È la teoria che risale all'indirizzo cattolico comunista, secondo cui la tassazione dei consumi di massa è una leva importante per combattere il «consumismo» cioè ridurre il benessere di coloro che, grazie al lavoro e al risparmio, aspirano a un tenore di vita dignitoso

Svelato il piano: uccidere il nostro benessere

La crisi politica ha un sottofondo economico che sta emergendo in queste ore, nell'anima dei membri del Pd. Dario Franceschini, ministro per i Rapporti con il parlamento, annunciando che è ormai impossibile bloccare l'aumento al 22% dell'Iva (cosa non vera) sembra provare felicità. È la teoria che risale all'indirizzo cattolico comunista, secondo cui la tassazione dei consumi di massa è una leva importante per combattere il «consumismo» cioè ridurre il benessere di coloro che, grazie al lavoro e al risparmio, aspirano a un tenore di vita dignitoso.

Altri del Pd sono felici di aumentare l'Iva, per ubbidire ai dettami della Cgil e della Confindustria, nella miope versione attuale, che vogliono 4 o 5 miliardi l'anno prossimo, per ridurre i costi fiscali del lavoro, come surrogato (effimero) alla riforma del lavoro basata su contratti aziendali e flessibilità. Non è spostando le imposte dai costi del lavoro ai consumi che si risolve il problema della produttività. Affermano che manca un miliardo per mantenere entro il 3% del Pil il deficit di bilancio del 2013. Come se su oltre 700 miliardi di pubbliche spese non si riuscisse a trovarne uno per scongiurare questo rincaro particolarmente inopportuno ora che si è accesa una fiammella di ripresa.
Non c'è solo questa diversità, consistente nella simpatia per le imposte, soprattutto quanto riducono il benessere privato, che rende doloroso per il Pd far parte di una «grande coalizione». Questo tema si inserisce in una concezione complessiva dei rapporti fra lo Stato e il mercato. Il patto neo corporativo per cui sindacati e Confindustria si accordano e ciò che decidono vale come regola generale a cui tutti debbono sottostare è un altro aspetto di questa concezione che privilegia il principio di autorità rispetto alla libertà privata.

C'è una terza componente che caratterizza il Dna economico della attuale sinistra italiana, ed è la concezione del principio di legalità. La legge, il potere giudiziario e amministrativo, con decisioni discrezionali prevalgono sulla libertà economica dei privati. Così si è sostenuto, nel caso di Berlusconi, che essendo l'esclusione dal Parlamento una «sanzione amministrativa» e non penale, questa può essere retroattiva. Con tale logica le norme amministrative che limitano i diritti personali possono esser retroattive. Nel caso Berlusconi, la sanzione amministrativa riguarda la materia tributaria. Con logica gli obblighi tributari possono essere retroattivi, sebbene lo statuto del contribuente lo escluda. Nella teoria del Pd non ci sono principi generali del diritto vincolanti. La Costituzione, così, si interpreta a piacimento, essendo nebulosa. Ed ecco che si assumo i precari con un concorso ad hoc, non con quello regolare perché la Costituzione all'articolo 97 stabilisce solo l'assunzione «per concorso». Si dimentica. Così, il principio di generalità e eguaglianza dell'articolo 3. La retroattività vale anche in materia di Opa: il governo starebbe studiando una legge da applicare al caso Telecom Italia per stabilire che il limite dell'Opa non è il 30 %, ma il 22% da applicare a Telco che ha tale quota. Il magistrato di Taranto può fare sequestri precauzionali di patrimoni produttivi, anche se ciò blocca le produzioni compromettendoli: si rimedia a ciò col giudice che autorizza di volta in volta l'utilizzo di tali patrimoni, se ciò è utile alla produzione. Così il giudice diventa amministratore delegato.

Il peggio è che chi avalla queste concezioni non si rende conto che sono intrinsecamente illiberali e perciò sommamente nocive al benessere e alla giustizia sociale.

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