La Ue contro le pensioni delle donne italiane: trattate meglio dei maschi

Ammonimento al nostro Paese per lo "sconto" di un anno sui contributi per ritirarsi dal lavoro

La Ue contro le pensioni delle donne italiane: trattate meglio dei maschi

È il caso di spiegare le differenze, ma proprio tutte le differenze, fra un uomo e un donna? Forse no, non è il caso. Perché forse, come dire, si percepiscono fin dall'adolescenza. Eppure. Eppure per la Ue, le differenze, o, meglio, i conti non tornano. Tanto che la Commissione europea ha aperto ieri, con una lettera di messa in mora, una procedura d'infrazione nei confronti dell'Italia a causa della differenza tra uomini e donne per il minimo di anni di contributi che devono essere versati per ottenere il pensionamento anticipato. In buona sostanza, nel mirino della Commissione europea sono finite le disposizioni contenute nella legge 214 del 2011 in base alle quali il periodo minimo di contribuzione, valido sia per il settore pubblico sia per quello privato, per ottenere la pensione prima di arrivare all'età massima è stato fissato in 41 anni e 3 mesi per le donne e 42 anni e 3 mesi per gli uomini. La norma, secondo la tesi sostenuta dal commissario Ue alla giustizia Viviane Reding è in contrasto con l'articolo 157 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea. Di conseguenza la Ue chiede all'Italia la modifica della legge nazionale che stabilisce un numero di anni di contributi diverso tra uomini e donne ai fini dell'ottenimento di un prepensionamento.

Perché da Bruxelles si ritiene che questa norma «è contraria alle regole Ue sull'equo trattamento tra uomini e donne in materia di impiego». E va anche al di là dei margini di manovra lasciati ai Paesi dalla direttiva varata dall'Ue nel 2006. Se l'Italia non dovesse adeguarsi alle richieste di Bruxelles, potrebbe scattare il secondo passaggio, ossia un avviso motivato, e quindi in seguito un eventuale primo deferimento alla Corte europea di giustizia, a cui poi seguirebbe una nuova procedura se l'Italia non dovesse rispettare la sentenza della Corte. Per ora, comunque, trattasi di una sorta di ammonizione, in altre parole, che il nostro Paese, tanto per cambiare, si prende dall'Unione europea questa volta per la sua «indulgenza» verso le mamme e le donne di casa nostra. Sarà anche vero, forse. Ma è altrettanto vero che mamme e donne di tutti gli altri Paesi, di questa stessa Europa sempre pronta a bacchettarci, godono di ben altri privilegi e agevolazioni che in Italia le loro colleghe nemmeno si sentono di chiedere e di pretendere.

Quindi? Quindi il discorso su privilegiati ed (eventuali) privilegiate andrebbe approfondito per capire realmente chi agevola e come le donne d'Europa. Detto questo, le reazioni non sono mancate: «Ci auguriamo che questo intervento della Ue serva a portare anche per gli uomini a 41 gli anni di contribuzione per il pensionamento anticipato e non si trasformi in una ulteriore penalizzazione delle donne», ha commentato Marialuisa Gnecchi, capogruppo Pd nella commissione Lavoro. Mentre per il segretario nazionale della Cgil, Vera Lamonica, «l'apertura di una nuova procedura di infrazione contro l'Italia da parte della Commissione europea in materia di pensioni delle donne potrebbe essere l'occasione per modificare la legge Fornero». «Ci auguriamo - ha sottolineato Vera Lamonica - che non si voglia ripetere una vecchia esperienza, con ulteriore penalizzazione delle donne, e che anzi l'occasione venga colta per intervenire su uno dei punti più delicati ed iniqui della riforma Fornero, abbassando per gli uomini l'età di accesso e favorendo per le donne la valorizzazione contributiva per i periodi di lavoro di cura».

Si ripropone, insomma, «da qualunque angolazione si guardi, l'esigenza di intervenire su un impianto normativo che si rivela sempre più socialmente insostenibile». E se per sostenere e per proteggere le donne a noi vicine valesse la pena anche di prendere ben più di un'ammonizione?

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