Per anni ne hanno cantato le lodi, è stato oggetto di convegni, seminari e dibattiti, con gli esperti che si sono affannati a indicarci la nuova frontiera dell'organizzazione aziendale: il telelavoro non solo sarebbe bello e possibile, ma a lungo andare anche necessario, la conseguenza inevitabile di nuove e stringenti esigenze: snellimento delle strutture e taglio dei costi.
Oggi il contrordine sul comandamento arriva da Yahoo, il colosso della Silicon Valley, che attraverso il suo amministratore delegato Marissa Mayer fa sapere che «d'ora in poi tutti i dipendenti dovranno essere presenti fisicamente nelle strutture dell'azienda». Qualcuno dei lavoratori ha già storto il naso, ma l'azienda è stata perentoria: chi non accetterà le nuove direttive sarà costretto a prendere la porta e a licenziarsi. I cambiamenti avranno effetto a partire dal mese di giugno, prendere o lasciare. Un aut aut.
Il motivo del dietrofront lo spiega in una nota interna inviata dal vice presidente senior per il personale e lo sviluppo, Jakie Reses, dove si sottolinea la necessità che lo staff sia «fisicamente insieme», oltre al fatto che «velocità e qualità del lavoro sono spesso sacrificate quando si opera da casa». Ma non ci avevano detto il contrario?
E pensare che, secondo la rivista Forbes, il 2013 sarebbe stato l'anno del lavoro da casa. Complice l'aumento del costo della benzina e il rincaro degli affitti per gli uffici, il lavoro a distanza pareva una tendenza non arginabile, confermata anche da dati e cifre: negli Usa, i dipendenti e i liberi professionisti che operano tra le mura domestiche almeno una volta alla settimana sono più di 30 milioni. E in Europa? La tendenza a scegliere il lavoro dal proprio salotto sta prendendo piede anche nel Vecchio Continente: la media europea è del 18 per cento, con Paesi come l'Inghilterra, dove più di due impiegati su dieci non si schiodano dal divano di casa, o i Paesi scandinavi, in cui i pantofolai superano il 30 per cento. L'italia con un misero 5 per cento registrato nel 2009 è invece tra i paesi fanalino di coda nella classifica dei «telelavoratori».
Secondo un'indagine realizzata da Cisco, operatore mondiale del settore delle soluzioni di rete, che ha coinvolto 2.600 professionisti dell'information technology di 13 stati, il sessanta per cento degli impiegati del mondo dei servizi sono convinti che sia possibile riuscire a lavorare, anche con maggiore efficienza, senza l'obbligo di frequentare tutti i giorni l'ufficio. E in italia qual è la percezione del lavoro a distanza? Nel Belpaese le cose sono un po' diverse: il 53 per cento pensa infatti che farsi vedere in ufficio sia necessario, perché «nulla sostituisce l'interazione quotidiana tra le persone». Non troppo dissimile l'opinione di tedeschi e giapponesi che sembrano preferire le interazioni faccia a e faccia e la frequentazione di luoghi fisici. Ma quanto è efficiente il telelavoro? Gli studiosi sembrano dividersi.
L'università di Stanford ad esempio, ha portato avanti un'analisi di un'azienda cinese che ha coinvolto 900 dipendenti. Circa 200 hanno accettato l'esperimento e per nove mesi si sono divisi in due gruppi: chi lavorava da casa, vestaglia, cuffie e computer alla mano, e chi è rimasto in ufficio. Ebbene, alla fine del periodo di prova i ricercatori hanno tirato le somme: chi aveva scelto di lavorare dal proprio appartamento aveva dimostrato un incremento di produttività del 13 per cento. Merito della calma, del silenzio ovattato della propria abitazione e della minore possibilità di contatti e quindi di conflitti con i capi. Solo che alla fine dell'esperimento, solo la metà degli intervistati ha continuato a lavorare in pantofole. Gli altri sono tornati di corsa alle loro scrivanie.
Forse perché, come hanno messo in evidenza altre analisi, il telelavoro può portare a una dilatazione degli orari e del carico della responsabilità e in alcuni casi può creare problemi di solitudine. A volte è meglio litigare con il capo, piuttosto che stare a casa propria. Magari a litigare con il consorte.
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