Ancora "Repubblica": ora chiede al governo la chiusura di Mediaset

Il quotidiano: "Impero in declino". E invoca "il colpo di grazia" dell’asta sulle frequenze

Ancora "Repubblica":  ora chiede al governo  la chiusura di Mediaset

Le dimissioni e l’annunciata non ri­candidatura di Berlusconi non bastano, il fronte «no Cav» vuole un segno più cruento della sconfitta, un favoloso trofeo: la rovina di Mediaset. Se le fortune di Cologno Mon­z­ese sono coincise con l’epoca berlusconia­na (il fatturato è cresciuto nell’ultimo de­cennio del 90 per cento, con un incremento di personale del 43, fonte Mediobanca), al­lora la nuova stagione di Monti e Passera, per essere credibile, deve confezionare una punizione esemplare per l’azienda fon­data da Berlusconi. È quanto auspica aper­t­amente la Repubblica di Carlo De Benedet­ti, avversario non solo politico del Cavalie­re ed editore televisivo meno fortunato. Nel fondo di Affari&Finanza il vicedirettore Giannini ricapitola il calo di Mediaset nel 2011 rispetto all’anno precedente, colpita dalla crisi (calo di pubblicità) come molte imprese, augurando una rapida riforma della governance Rai e del sistema di asse­gnazione delle frequenze tv (il famigerato beauty contest), anche se (o forse proprio perché) queste due operazioni «possono dare un colpo di grazia ad un impero indu­striale e mediatico ormai in pericoloso de­clino ». È un deja vu , che torna quando Ber­lusconi esce da Palazzo Chigi. Nel 1996, a pochi giorni dal voto che avrebbe segnato al vittoria di Prodi, già si temeva una ritorsio­ne verso Mediaset. Tanto che si incaricò Massimo D’Alema, con una visita a Colo­gno Monzese, di rassicurare l’azienda:«Sie­te una grande risorsa per il Paese, non avete nulla da temere da una nostra vittoria».

Adesso che Mediaset accusa i colpi della crisi (e di una serie di scelte sbagliate sul pa­­linsesto) e che Berlusconi non è più pre­mier, si riparla del «colpo di grazia». Anche Il Corriere della Sera con Massimo Muc­chetti ha fatto previsioni nerissime per Me­diaset ( «Se perde il 10% della raccolta su ba­se annua, finirà per bruciare i margini»),ac­compagnandole con un’analisi interessan­te sul competitor Rai (e sul competitor delCorriere ...). Cioè che una privatizzazione di una parte della tv di Stato (nel quadro di un canale solo pagato dal canone, senza spot) potrebbe «addirittura finire a basso prezzo all’arcinemico Carlo De Benedetti», edito­re di Repubblica . Che quindi potrebbe non essere neutrale sulle questioni Rai-Media­set che il suo giornale tratta con molta pas­sione.

È vero che la riforma della Rai è uno dei pensieri di Berlusconi in questo momento, ed è stato uno degli argomenti dell’ultimo incontro con il premier Monti. Il Cavaliere ha chiesto garanzie come contropartita del­la fedeltà che il Pdl sta mostrando al gover­no.

Il Consiglio di amministrazione Rai sca­de a fine marzo, anche se può teoricamente andare avanti fino a maggio. Ma le nomine sono già allo studio del governo, che pensa in particolare al direttore generale e ad un presidente non più espressione di partiti. Su queste due caselle Berlusconi fa affida­mento sul gentlemen’sagreement con Mon­ti, affinché non siano nomi «di sinistra». Sul­la riforma della governance invece Berlu­sconi non vede con particolare simpatia l’ipotesi di un amministratore delegato «plenipotenziario» in Rai. Ma su cambio di governance i tempi sono verosimilmente lunghi.

Si attende anche un’altra scadenza, e cioè i 60 giorni (virtuali) che mancano alla promessa di Passera sull’assegnazione del­le frequenze tv. Una di quelle scadenze che, scrive Repubblica con gli occhi che luccica­no dalla gioia, potrebbe essere «un colpo di grazia» per Mediaset.

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