RomaI «lealisti» si contano e puntano sul congresso. Sono ore concitate quelle vissute dai dirigenti del Pdl schierati con Silvio Berlusconi dal momento della sua richiesta di dimissioni dei ministri. Incassato il «contropiede» di Angelino Alfano, i fedelissimi dello storico leader provano a definire una strategia alternativa.
Il primo passo è quello di adottare un nuovo registro comunicativo, senza fughe in avanti. La parola d'ordine è: «Non spacchiamo il partito». Una sorta di mantra che risuona con alterne convinzioni nell'uno e l'altro fronte. Mariastella Gelmini ricorda che «abbiamo rischiato concretamente una divisione senza ritorno. L'impegno ora è ricostruire il tessuto della nostra comunità politica». Posizione sposata anche da Maurizio Gasparri. Francesco Nitto Palma fa notare che «se ci dividiamo siamo persi». E Stefano Caldoro si spende per un documento comune firmato a vantaggio delle telecamere nella sede del partito a Napoli con gli alfaniani Gioacchino Alfano e Raffaele Calabrò, un documento che sa di grande armistizio, intitolato: «Con Berlusconi: prima di tutto insieme».
Su posizioni in aperto dissenso si attestano tre parlamentari di lungo corso. Antonio Martino è il più diretto con la sua richiesta di azzeramento degli incarichi di partito «perché Alfano non può essere il leader». Giancarlo Galan punta il dito sulla collaborazione con il Pd e sottolinea come «con il via libera al governo stiamo agevolando i carnefici di Berlusconi. E lo facciamo sorridendo. Così si va incontro a una lenta agonia che ci porterà sempre più lontano dalla nostra gente». E Sandro Bondi pone un «problema morale e di dignità politica» nello stare al governo con chi «defenestra Berlusconi».
Naturalmente accanto alle manovre tese alla ricucitura c'è anche la volontà di definire una strategia politica così da non essere spazzati via, visto che come ha dimostrato la raccolta firme - arrivata a quota cento sigilli su un documento di lealtà al capo del Pdl - la maggioranza del gruppo parlamentare è comunque nelle loro mani. L'ambizione è quella di stanare Alfano sul suo terreno e di spingere per il congresso. Insomma, «se davvero vogliamo diventare un partito vero e dimenticare che siamo stati eletti in una lista Per Berlusconi presidente» spiega uno dei pretoriani «sfidiamoci nelle sedi competenti. Magari anche con le primarie».
Il percorso prevederebbe una corsa a due con Raffaele Fitto «contro-segretario» e una sfida in campo aperto tra i due schieramenti. Sul fronte di voti e tessere i lealisti potrebbero schierare il bacino campano di Nitto Palma, Mara Carfagna e Stefano Caldoro più quello altrettanto solido dello stesso Fitto in Puglia. E poi una somma di tesoretti come quelli di Giancarlo Galan, Mariastella Gelmini e Mario Mantovani, Michaela Biancofiore, Gianfranco Miccichè, Denis Verdini e Altero Matteoli in Toscana e tanti altri. Oltre alla rete di Maurizio Gasparri. Sull'altro fronte Alfano potrebbe contare soprattutto sul grande universo di Comunione e liberazione, sui voti siciliani, su Fabrizio Cicchitto e Andrea Augello nel Lazio e sui calabresi di Giuseppe Scopelliti.
Al di là del congresso l'altra richiesta che potrebbe arrivare dal fronte «lealista» è quella di un rimpasto: perché, è la domanda che ricorre, l'intera rappresentanza ministeriale deve essere appannaggio degli alfaniani? Un ribaltamento del tavolo per il quale sarebbe però necessario il via libera di Berlusconi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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