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Banchieri, ex Pci e industriali. È la Compagnia che comanda

Ciampi, Monti e Draghi. Ma anche Fassino e Rutelli: i collegi dei gesuiti hanno formato una buona fetta della classe dirigente italiana. Da destra a sinistra

Banchieri, ex Pci e industriali. È la Compagnia che comanda

Roma - Scuole severe, elitarie, formative secondo i principi di Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù, l'ordine più intellettuale (dieci anni di studi intensi, oltre alla laurea, per farne parte). Dagli istituti governati dai padri gesuiti esce una bella fetta di classe dirigente, banchieri, manager, politici. E c'è uno schieramento trasversale di leader di partito che adesso, col primo Papa gesuita, si metterà nella scia della renovatio vaticana secondo Bergoglio. Da sinistra a destra al centro civico, quello di Monti e Montezemolo. Entrambi, in effetti, i promotori dello sfortunato listone neocentrista vengono da scuole (tutte private, spesso costose) di gesuiti. Il Leone XIII di Milano, collegio della buona borghesia meneghina, per il prof. Monti (ma anche l'ex sindaco Albertini, o Massimo Moratti), autore sul Corriere di una lettera per «il più caloroso e deferente omaggio» al nuovo Pontefice gesuita. L'Istituto Massimiliamo Massimo, invece, erede del Collegio romano fondato da Sant'Ignazio di Loyola nel 1550 e sfrattato dall'Italia Unita nel 1870, per il fondatore di Italia Futura Luca Cordero di Montezemolo.

Sempre dal «Massimo» di Roma sono usciti l'ex sindaco Rutelli, il presidente Bce Mario Draghi, ottimo giocatore della squadra di basket dell'istituto e fino alla prima liceo compagno di classe di Giancarlo Magalli, poi espulso dai gesuiti per aver simulato un allarme pur di evitare un compito in classe. Sempre al «Massimo» hanno studiato l'imprenditrice e consigliere Rai Luisa Todini, il presidente di Bnl-BNP Paribas Luigi Abete, il direttore del Fatto Antonio Padellaro, il direttore di La7 Paolo Ruffini. Parente del deputato Pdl Enrico La Loggia del Pdl, anche lui formato dai gesuiti, nella più prestigiosa scuola privata di Palermo, il «Gonzaga», nei cui archivi si trovano altri politici, Marcello Dell'Utri, l'attuale sindaco Leoluca Orlando, sostenuto, ai tempi della Rete (anni '90) da un eminente gesuita come padre Bartolomeo Sorge, poi direttore di Civiltà cattolica. Dai gesuiti, ma al «San Francesco Saverio» di Livorno, si è diplomato invece l'ex presidente Carlo Azeglio Ciampi, un laico dalla religiosità sobria ma rigorosa (ogni domenica a messa), da buon allievo gesuita.

Insospettabili anche a sinistra, zona Pci addirittura. Come Piero Fassino, che da segretario dei Ds, durante il governo Prodi sotto attacco per i Pacs (le unioni civili) invisi al mondo cattolico, raccontava di una giovinezza precedente alla Fgci torinese nel '68: «Sì, sono stato per nove anni allievo dei gesuiti a Torino, e questo mi ha consentito di rafforzare la mia fede religiosa. Essere di sinistra non è in contraddizione con la fede, perché significa battersi per la giustizia, l'uguaglianza, il rispetto della persona, valori cattolici». Niente studi gesuitici per Bertinotti, marxista ateo ma sui generis («Mi sono sempre interessato alla Chiesa del Concilio e ho tanti amici di Chiesa, anche tra i cardinali») e neppure per Nichi Vendola, comunista «cattolico», che una volta, in un battibecco col sindaco renziano Delrio che gli dava dell'incompetente («Caro Nichi occupati di taralli o di trulli e non rompere con le fumisterie parolaie»), rispose così: «Caro Graziano, pensavo avessi studiato dai gesuiti, invece usi argomenti da bar». Qualche traccia in più però c'è, visto che cinque anni di scuola dai gesuiti a Montreal li ha fatti Eddy, il compagno del governatore pugliese.

Ma che politici forma la pedagogia gesuita? A sentire padre Sorge, sostenitore entusiasta (solo all'inizio) dell'Ulivo di Prodi, moderati di centrosinistra: «Anche i figli di buone famiglie da noi si appassionano ai drammi degli emarginati sociali, delle minoranze e sviluppano una passionalità che li guida poi nella vita civile». Mario Draghi, in una intervista a Radio Vaticana, spiegò il cuore dell'educazione gesuita in termini più generali: «Far capire che tutti noi, al di là di quanto noi potessimo apprendere come scolari, nella vita avevamo un compito che poi il futuro, la fede, la ragione, ci avrebbero rivelato».

E fa un certo effetto trovare come «intervento straordinario» sulla cyber democracy, ad un convegno del 2004 della Fondazione Stensen, Padri Gesuiti di Firenze, un altro futuro (non)politico: Beppe Grillo.

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