Basta sinistra al Quirinale

Adesso al Quirinale serve una personalità super partes

Il Quirinale ripreso dalla terrazza del palazzo della Consulta a Roma
Il Quirinale ripreso dalla terrazza del palazzo della Consulta a Roma

I saggi, come la famosa montagna, hanno partorito il topolino: bisogna cambiare la legge elettorale (davvero?), ridurre il numero dei parlamentari (davvero?), abolire il bicameralismo paritario (davvero?) e abbassare le tasse (che idea!). Siamo felici, siamo contenti. Ma chi farà tutto questo? In attesa di saperlo, il Palazzo è impegnato su un altro fronte.
Molti si domandano perché si dia tanta importanza al presidente della Repubblica, che sarà eletto entro il mese in corso, al punto che non si parla d'altro, addirittura è stato accantonato quello che sembrava essere il problema numero uno: dare un governo al Paese a 47 giorni dal rinnovo del Parlamento. C'è chi non comprende il motivo per cui Silvio Berlusconi si batta con vigore per mandare al Quirinale un uomo di suo gradimento. In altre epoche la questione non sarebbe stata centrale nel dibattito politico, perché il capo dello Stato era una figura quasi esclusivamente simbolica, aveva funzioni notarili, non interveniva pesantemente nelle scelte dei partiti e si limitava, nei momenti cruciali, a fornire consigli, rimanendo quasi sempre ai margini delle polemiche.
La trasformazione e l'ampliamento dei compiti della prima carica istituzionale cominciarono con Sandro Pertini, le cui vivaci sortite sono ben ricordate da chi non è giovanissimo. Dopo di lui, venne Francesco Cossiga, famoso per le picconate che infastidirono i comunisti sino a spingerli a chiedere l'impeachment. Il presidente per un soffio non fu cacciato come un malfattore, ma si dimise in anticipo sulla scadenza del mandato. Da qui in poi, nessuno si stupì più che il capo dello Stato mettesse le mani e i piedi nel piatto della politica.
Oscar Luigi Scalfaro è rimasto famoso per aver favorito, se non organizzato, il memorabile ribaltone che fece sloggiare il Cavaliere da Palazzo Chigi, aprendo le porte a Lamberto Dini. A Scalfaro subentrò Carlo Azeglio Ciampi, persona misurata e cauta, ma pronta a fornire rilevanti contributi alla gestione dei poteri legislativo ed esecutivo. Infine al Colle salì Giorgio Napolitano, di cui conosciamo l'intensa attività di coordinatore e manovratore. Talmente intensa che ormai la nostra è di fatto diventata una Repubblica presidenziale.
Una caratteristica accomuna i presidenti degli ultimi vent'anni: la propensione a sinistra, probabilmente determinata da una massiccia dose di antiberlusconismo. È normale che il centrodestra sia adesso intenzionato a imprimere una svolta alla prassi: stavolta - pensano i maggiorenti del Pdl - serve per il Quirinale un'autorità che, oltre a essere imparziale, non susciti il sospetto di poter simpatizzare per una parte a danno dell'altra.
Di qui la tenacia con cui Berlusconi persegue l'obiettivo di influenzare l'elezione del successore di Napolitano e, per converso, il desiderio di Pier Luigi Bersani di evitare che il suo avversario lo raggiunga. Tutto qua. Non ci sono misteri. Non esistono giochi sotterranei. Si tratta soltanto di ottenere un vantaggio o di non subire uno svantaggio, una sorta di assicurazione settennale per garantire i partiti (destinati a collaborare tra loro) dal rischio che il nuovo presidente divida i propri interlocutori in figli e figliastri.
Quella del Pdl non è dunque una pretesa, una voglia irresistibile di strappare dei privilegi, ma l'esigenza di avere sul Colle una persona la cui storia non abbia implicazioni partitiche tali da far pensare che il Quirinale assuma delle decisioni in base a pregiudizi. D'altronde, se nascesse un governo sostenuto da Pdl e Pd, sia pure per un breve tempo, avrebbe bisogno di non partire zoppo.

segue a pagina 2

di Vittorio Feltri

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