Belli gli immigrati visti da un salotto



(...) e che a 40 anni ti costringe a vivere ancora con la mamma. Ermanno, il pensionato, della sveglia non avrebbe più avuto bisogno, da quattro mesi non c'era più neanche sua moglie a dargli il buongiorno. Ma lui era fatto così, dava una mano agli altri anziani del quartiere quando poteva. E sabato l'orologio l'aveva puntato a prima dell'alba, per accompagnare una signora a fare gli esami in ospedale. Un gesto di altruismo, mentre tutto il quartiere dormiva. O quasi tutto. Mada Kabobo, ad esempio, no. Ed è curioso che fior di commentatori si siano posti ogni genere di interrogativo su di lui: dove abitava? Perché tanta rabbia? È sano di mente? E quando la mattanza di Niguarda ha mandato in ebollizione il dibattito sull'immigrazione irregolare e sui suoi precedenti violenti, ecco scaturire altre riflessioni. Il sociologo Mauro Magatti ci ha ricordato sul Corriere che «come Kabobo migliaia di immigrati vivono in condizioni umanamente opprimenti». Il sindaco Pisapia, si è chiesto come mai nessuno abbia dato l'allarme dopo le prime aggressioni. Evidentemente non gli è bastata la semplice risposta che erano le 5 di mattina di un sabato. Un'ora in cui, di solito, si dorme. Ma non Daniele, non Alessandro, non Ermanno. E su di loro si sono sentite poche domande. Le vittime di questa storia sono buone per piangerci su, per il lutto cittadino, ma su di loro i sociologi non si interrogano. E questo, forse, spiega perché il dibattito sull'immigrazione da noi sia così polarizzato e allo stesso tempo così superficiale. Come negli ultimi giorni, in cui abbiamo scoperto all'improvviso che lo ius soli è di sinistra e lo ius sanguinis è di destra. E pazienza se in realtà la maggior parte dei Paesi europei adotti sistemi misti. In tanti, in troppi dimenticano, dimentichiamo, gente come i tre milanesi qualunque uccisi a picconate perché non riuscivano a dormire, pressati dai propri problemi, o dal bisogno di lavorare o dalla voglia di fare una buona azione per dare un senso alla giornata. Conviene, è più facile, far coincidere la parte della società che fatica a convivere con gli immigrati con teste vuote e rasate. Così da una parte ci sono i buoni, che vogliono accogliere tutti in un grande abbraccio, e dall'altra i cattivi, gli zotici chiusi nel loro egoismo, insensibili agli altrui dolori. Spesso però, i buoni vivono in quartieri eleganti dove gli unici immigrati che vedono solo le loro colf. E dimenticano che invece gente come Daniele, Ermanno e Alessandro, quelli costretti ad alzarsi all'alba, condividono lo stesso spazio fisico e sociale con gli immigrati. Che sono in maggioranza brava gente venuta a lavorare, non come Kabobo. Ma hanno comunque bisogno di aiuto e lo chiedono allo stesso welfare con le sue risorse sempre più limitate, magari contendendosi con questi italiani di periferia gli stessi posti all'asilo per i figli. Non è un motivo per essere razzisti, ma spiega perché è più facile predicare accoglienza e tolleranza se si vive ai Parioli o a Brera. E spiega perché i sociologi si facciano certe domande e altre no.
Giuseppe Marino

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di Giuseppe Marino

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