"Revisione del processo? Solo in casi eccezionali"

Il procuratore generale di Milano Francesca Nanni racconta come è riuscita a far scarcerare l’innocente Zuncheddu

"Revisione del processo? Solo in casi eccezionali"

«Per chiedere la revisione di un processo penale che si è concluso con una condanna definitiva, servono nuove prove. Ed è necessario qualcosa di decisivo, oltre che di nuovo, perché ovviamente si valuta anche la qualità della prova. Se si allargassero le maglie della revisione, il sistema giudiziario impazzirebbe».

A parlare è Francesca Nanni, procuratore generale di Milano dal 2020, prima donna a ricoprire questo ruolo. L'abbiamo intervistata mentre tutti i canali televisivi dedicano trasmissioni al processo di Garlasco, che vede Alberto Stasi condannato in via definitiva per l’omicidio di Chiara Poggi, uccisa brutalmente nell’agosto di 18 anni fa. Un caso che si è fatto sempre più mediatico, trasformando buona parte degli italiani in «esperti» criminologi, come accade quando gioca la Nazionale e tutti si sentono un po’ allenatori. Stasi colpevole o invece vittima di uno strabiliante errore giudiziario?

Con il procuratore Nanni abbiamo parlato della gravità della revisione dei processi e quali sono i casi eccezionali per cui si può richiedere: fu lei, infatti, a ottenere la revisione del processo per la strage di Sinnai, compiuta l’8 gennaio 1991, conclusasi con la condanna all’ergastolo di un pastore sardo, Beniamino Zuncheddu, per tre omicidi e un tentato omicidio. Zuncheddu ha trascorso in carcere 11.958 giorni: ma era innocente.

Grazie alle indagini svolte da Nanni, allora procuratore generale a Cagliari, con l’avvocato difensore Mauro Trogu, Zuncheddu è stato assolto il 26 gennaio 2024 «per non avere commesso il fatto », dopo 32 anni di prigione. Un terribile errore giudiziario che ha comportato la detenzione di un innocente più lunga della storia italiana.

Lei ha ottenuto un processo di revisione che ha restituito la libertà a un innocente. Quando si può chiedere la revisione di un processo passato in giudicato?

«La revisione è uno strumento di carattere eccezionale. Nel corso del procedimento giudiziario che comprende tre, ma anche quattro gradi di giudizio (se la Cassazione rinvia alla Corte d’Appello), si deve fare tutto quanto è possibile per arrivare a una sentenza solida e resistente: non dico giusta, perché la giustizia giusta è un termine che non mi piace, ma un giudicato forte, basato su prove che hanno una resistenza particolare. In casi straordinari, quando sopraggiungono nuove prove o si scoprono elementi nuovi che comportano una dichiarazione di falsità degli atti sui quali è basata la condanna, si può fare domanda di revisione».

Per chiedere la revisione del processo Zuncheddu, sottoponeste alla Corte d’Appello di Roma una serie di prove nuove e dirimenti. Come riusciste ad ottenerle?

«Era l’estate del 2019, mi ero appena insediata in Procura a Cagliari quando un collega mi sottopose un plico da parte di un avvocato difensore: riguardava una strage compiuta 26 anni prima. Rimasi colpita in particolare da un dettaglio della storia: il condannato, che aveva ormai espiato quasi tutta la pena in carcere, non aveva ottenuto la liberazione condizionale dal Tribunale di Sorveglianza solo perché continuava a definirsi innocente. Per esperienza so che è un atteggiamento non comune. Così, studiai le carte: l’avvocato aveva raccolto pareri scientifici aggiornati, aveva una consulenza balistica nuova e molto seria. Un ottimo lavoro. Va spiegato che la difesa può fare domanda di revisione anche in solitaria, ma Trogu riteneva di possedere buoni argomenti da spendersi anche con il procuratore generale e pensò che, se mi fossi convinta, il mio parere avrebbe avuto un certo peso presso la Corte d’Appello».

E lei si convinse. Fu sua l’intuizione che portò alla svolta della strage di Sinnai.

«Fu un lavoro di squadra. Incontrai l’avvocato e gli dissi che aveva lavorato bene, ma che a mio parere per ottenere la revisione non bastava. Abbiamo indagato insieme, ognuno per conto suo, per lo stesso obiettivo: eravamo convinti dell’innocenza di Zuncheddu. Così io con la mia esperienza di pm, perché per la revisione servono appunto prove nuove, e l’avvocato con la sua conoscenza delle persone e delle carte, abbiamo ottenuto un’intercettazione telefonica inedita per noi molto importante e la Corte d’Appello di Roma ha ammesso la revisione».

Qual era la nuova prova e come cambiò la situazione di Zuncheddu?

«Zuncheddu fu condannato fondamentalmente sulla base del riconoscimento, effettuato su una fotografia, da parte dell’uomo sopravvissuto alla strage, Luigi Pinna. La foto gli fu mostrata prima che venisse sottoposto all’identificazione del presunto colpevole fra 16 uomini. Questa è la ricostruzione che noi abbiamo proposto alla Corte d'Appello e che la Corte ha accettato».

Dunque stando a questa ricostruzione Pinna sapeva già chi indicare perché sarebbe stato “imbeccato”. Prove concrete contro Zuncheddu non ce n’erano.

«Pinna, sopravvissuto alla strage ma ferito gravemente, in ospedale dichiarò che l’assassino aveva il volto coperto da una calza di nylon. Risentito poi dagli inquirenti, disse di avere mentito per paura. Che avesse subito un grave stress è un eufemismo: rimase un’intera notte nell’ovile a dissanguarsi con tre cadaveri vicino, finché la mattina lo ritrovarono. In seguito ha sempre ripetuto di riconoscere Zuncheddu. Nell’intercettazione chiave ottenuta dalla Procura di Cagliari, in uno strettissimo dialetto sardo tanto che chiedemmo due diverse consulenze per tradurla, Pinna invece dice: «Hanno capito la verità, hanno capito che io non l'ho visto». Questa è stata la prova nuova che ci ha fatto ottenere l’ammissibilità per la revisione. Davanti alla Corte d’Appello, Pinna ha infine ritrattato e testimoniato che non aveva potuto mai vedere l’assassino in volto».

Durante la revisione, fu dimostrato anche che Zuncheddu aveva una malformazione congenita ai muscoli del braccio destro, per cui non avrebbe potuto compiere la strage con quella dinamica fulminea, quasi paramilitare, a fucilate. L’innocente è stato risarcito?

«Dal momento dell’assoluzione, la difesa ha due anni per la richiesta di risarcimento. So che l’avvocato Trogu ha lavorato molto per predisporre una richiesta ben motivata, che tenga conto non solo dei mancati introiti lavorativi di Zuncheddu, ma anche delle mancate occasioni private, di tutto quello che non ha potuto avere. Di una vita. Credo abbia depositato la domanda pochi mesi fa. Zuncheddu ha avuto finora poche decine di migliaia di euro, il riconoscimento ai detenuti che hanno subito un periodo di carcerazione in condizioni di vita inferiori a quelle minime essenziali».

Procuratore, a fine maggio lei ha chiesto la revoca della semilibertà per Alberto Stasi: perché e quali sono i tempi per avere una risposta.

«Ci tengo a chiarire che la richiesta non ha assolutamente a che fare con il merito della vicenda, che eventualmente, se ci sarà una revisione, verrà affrontato in quella sede. Però, finché c’è una condanna penale definitiva, noi abbiamo l’obbligo di esecuzione, che è una fase fondamentale per garantire efficacia al sistema giudiziario. Secondo noi, tutto ciò che avviene in questa fase dev’essere vagliato dal giudice, in questo caso dal magistrato di sorveglianza. Invece, durante un permesso per motivi familiari, è stata rilasciata un'intervista televisiva a livello nazionale.

Il nostro è un ricorso in Cassazione, anche per capire come regolarci in futuro con casi simili. Credo si debbano pronunciare entro un mese, sicuramente entro luglio. Comunque vada, non pregiudicherebbe la futura concessione di una nuova semilibertà».

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica