Cronache

Il Belpaese sprecone Regaliamo all'estero un terzo del business

Vuoi viaggiare in Italia? Devi prenotare tramite siti stranieri Che incassano maxi commissioni. E non pagano tasse da noi

Il Belpaese sprecone Regaliamo all'estero un terzo del business

Avere a disposizione con pochi clic gli alberghi che offrono la sistemazione desiderata al prezzo più basso: è il servizio offerto da molti siti, come Expedia.it o Booking.com, per citare i più noti. Almeno una volta ce ne siamo avvalsi tutti: è utile e conveniente. Se non altro per l'utente, un po' meno per gli alberghi e, a guardare meglio, per il «sistema Italia» nel complesso.
Finché c'erano solo le agenzie di viaggi, queste applicavano agli albergatori una commissione del 10 per cento, oggi invece le percentuali trattenute dai portali di prenotazione online sono più alte. Funziona così: in base al meccanismo del parity rate l'albergatore comunica al sito la sua tariffa più bassa (impegnandosi a non offrirne altre più economiche), che comparirà online assieme alle altre dello stesso tipo. Per ogni prenotazione in quell'albergo fatta attraverso il portale, quest'ultimo trattiene la commissione, che «varia dal 15 fino al 30 per cento», spiega Alessandro Massimo Nucara, direttore generale di Federalberghi.
Per gli albergatori, quindi, in un certo senso si stava meglio quando si stava peggio, anche se questi siti allargano molto il bacino dei potenziali clienti, specie all'estero. Ma il maggior guadagno in termini di commissioni finisce anche questo all'estero, visto che le società dei maggiori portali di questo genere sono tutti stranieri: Expedia ha sedi in tutto il mondo ma la principale è a Bellevue, vicino a Seattle, nello stato di Washington. Più vicino, ad Amsterdam, il quartier generale di Booking.com.
Ovviamente lì dove c'è la «base madre» le società pagano le tasse. Nulla di illegale, solo che lo Stato non ci incassa nulla. Quindi l'economia del Paese ci perde due volte: da un lato c'è un comparto, quello degli alberghi, che si trova a far fronte a commissioni più gravose di un tempo, dall'altro un giro d'affari, gestito appunto da questi siti, che tocca il territorio italiano ma non «rientra» in termini di tasse.
Poi c'è un'altra questione, che da tempo innervosisce gli albergatori, non solo i nostri ma quelli di mezza Europa: molti di questi portali sono collegati a TripAdvisor, il sito che, attraverso i commenti degli utenti, classifica le migliori e peggiori strutture alberghiere. «Uno strumento utile che io stesso uso, e dal quale il mio gruppo ha ricevuto anche dei premi», spiega Bernabò Bocca, presidente di Federalberghi e proprietario della catena S.I.N.A Hotels. Che aggiunge: «Però dev'essere chiaro che TripAdvisor non è il Vangelo: c'è chi si auto-commenta in positivo per farsi pubblicità, chi scrive recensioni negative per danneggiare i concorrenti. E c'è persino un «business dei commenti»: fornitori che offrono pacchetti comprendenti, oltre alla merce, anche un tot di commenti positivi su TripAdvisor e altri siti di valutazione». La battaglia su questo fronte è storia conosciuta anche oltreconfine: due anni fa gli albergatori francesi, insieme allo Stato che si è costituito in giudizio con loro, hanno ottenuto una condanna da 430mila euro nei confronti di TripAdvisor, Expedia e Hotels.com per aver messo in atto pratiche commerciali ingannevoli. In Gran Bretagna più volte l'Advertising Standard Authority (l'autorità di controllo della pubblicità) ha censurato ufficialmente TripAdvisor quanto all'attendibilità delle sue recensioni. Lo stesso ha fatto in Germania la Stiftung Warentest, principale organizzazione indipendente per il controllo su prodotti e servizi, nei confronti di diversi portali.
Sarebbe più semplice se l'Italia si dotasse di un proprio sito in grado di presentare le tariffe alberghiere più convenienti. Federalberghi ci sta provano con ItalyHotels.it. L'intento sarebbe renderlo operativo entro fine anno, «ma per portare avanti il progetto, promuovendolo su mercati internazionali, ci vogliono almeno 8 milioni di euro all'anno», spiega Bocca. L'idea è applicare non più del 10 per cento di commissione agli iscritti.

Che sono 3500, sui 27mila soci: in Italia fare rete resta difficile.
twitter @giulianadevivo

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