Berlusconi vede le urne e insiste sull'election day

Secondo il Cavaliere l'addio di Fassina accorcerà la vita del governo. Ai suoi dice: Renzi scalpita per andare a Palazzo Chigi, sarà lui a staccare la spina

Berlusconi vede le urne e insiste sull'election day

Berlusconi ci crede. Sempre di più visto che ieri la squadra di palazzo Chigi ha perso per strada il Pd Stefano Fassina, viceministro di peso dimessosi per beghe interne al suo partito. Un segnale da non sottovalutare: potrebbe essere un'accelerazione per il prepensionamento di Letta & C. Il Cavaliere continua a chiedere l'election day a maggio: elezioni europee e contestualmente elezioni politiche. Confida in Renzi che scalpita per arrivare a palazzo Chigi e ne comprende la strategia.

Non sarà lui, direttamente, a staccare la spina al governo Letta. Ma farà di tutto affinché sia Alfano a dire «stop». In questo modo non lascerà le cosiddette «impronte digitali» sull'assassinio di un esecutivo che ormai ha il fiato cortissimo. Quel che resta del governo delle larghe intese sta per implodere. A chi lo chiama, Berlusconi continua a lamentare di essere stato vittima di un susseguirsi di «colpi di Stato». Colpa dei giochi di Palazzo, vero vulnus della nostra democrazia. E poi, ragiona: «In Italia c'è un'altra grossa anomalia: i leader di partito sono fuori dal Parlamento. Il sottoscritto, buttato fuori dal Senato dall'atteggiamento criminale della sinistra; Beppe Grillo, che guida i pentastellati; Matteo Renzi, da poco neo segretario del secondo partito italiano; ma anche Matteo Salvini, nuovo condottiero della Lega; ma anche Nichi Vendola, guida di Sel, e lo stesso Angelino Alfano che più che leader di partito fa il vicepremier». Una anomalia tutta italiana. «Gli unici leader di partito rimasti in Parlamento sono Pierferdinando Casini e Mario Monti che però contano sempre meno». Ragiona in termini battaglieri, l'ex premier; convinto com'è che la partita non è ancora chiusa e che ci sarà l'occasione per dire la propria ancora una volta.

Sulla legge elettorale il Cavaliere apre a Renzi e non nasconde la sua preferenza per il modello spagnolo: «Garantisce la stabilità e non affossa il bipolarismo». Tuttavia, dei tecnicismi di ogni singolo modello non entra volentieri nel merito perché, dice: «È un argomento che non scalda il cuore della gente e interessa relativamente i cittadini. Il Paese vuole un governo che governi e non sopporta più i continui ribaltoni». Così, si augura che, una volta ottenuto il voto, gli italiani «imparino a votare». La testa è rivolta alle prossime battaglie e alla conquista del consenso. «Tocca a voi. Ce la possiamo fare», giura ai suoi interlocutori. Vuole entusiamo sia sul fronte dei «club», nel tentativo di ripetere il miracolo del '94, sia sul fronte partito.

Proprio sul partito è in dirittura d'arrivo la copertura di tutte le caselle dei responsabili regionali. Un lavoro certosino, fatto gomito a gomito con Denis Verdini. Mancano poche pedine da piazzare, a causa di reciproche gelosie che non appassionano certo il Cavaliere. Sciolto il nodo Campania con il derby tra Domenico De Siano e Carlo Sarro, a favore del primo: ischitano e sostenuto da Carfagna, Caldoro, Russo e Cesaro. Per il resto la geografia è quasi completa: in Valle d'Aosta, Massimo Lattanzi, in Piemonte è fatta per Gilberto Pichetto Fratin, in Emilia Romagna carica a Massimo Palmizio, in Umbria andrebbe bene il ritorno di Rocco Girlanda o in alternativa Catia Polidori o Pietro Laffaranco; nelle Marche il partito è in mano a Remigio Ceroni; in Puglia è probabile la riconferma per Francesco Amoruso; in Basilicata c'è Cosimo Latronico mentre in Sicilia e Sardegna la strada è spianata per Vincenzo Gibiino e Salvatore Cicu.

In Calabria, visto il derby tra il berlusconiano della prima ora Nino Foti e Pino Galati, la scelta è ricaduta su Jole Santelli. Altro nodo da sciogliere è l'Abruzzo dove però, a causa del voto già programmato per maggio, la casella potrebbe essere affidata a un outsider: una sorta di commissario regionale, avulso dal territorio.

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