Bersani tifa Berlusconi ma ha paura di dirlo a Monti e Napolitano

Il segretario si finge rattristato, ma dopo la sferzata del Pdl al premier sarà più difficile cambiare la legge elettorale. Favorendo l’exploit Pd

Pier Luigi Bersani alla Camera durante il voto di fiducia del decreto legge sui costi della politica
Pier Luigi Bersani alla Camera durante il voto di fiducia del decreto legge sui costi della politica

«Il nuovo inno Pd: Meno male che Silvio c’è». La battuta del finiano Fa­bio Granata arriva via Twitter durante il voto di fiducia,dall’al­tro lato dell’emiciclo, dove sie­dono i parlamentari di Futuro e Libertà, e suscita risatine tra i banchi del Pd.

Da ieri mattina, quando Ber­lusconi ha dato fuoco alle polve­ri e tolto la maggioranza al go­verno del professor Monti, nel partito di Pier Luigi Bersani l’imperativo categorico è: mo­strarsi «responsabili», sostene­re lealmente il governo fino al­l’ultimo istante, e non dare a nessun costo l’impressione che il Cavaliere stia facendo al Pd il più bel regalo di fine anno. Confermando quello che al Na­zareno viene colloquialmente indicato come «il fattore C di Bersani». Insomma, il primo obiettivo in questa fase è che il cerino bruci fino in fondo nelle mani di chi lo ha acceso, ossia il centrodestra. Per questo il se­gretario ha imposto una frena­ta alle dichiarazioni un po’ pre­cip­itose della capogruppo al Se­nato Anna Finocchiaro che, do­po l’annuncio di astensione del Pdl sulla fiducia al governo, ave­va già sancito la crisi: «Il gover­no non ha più la fiducia della maggioranza delle aule parla­mentari. Credo che Monti deb­ba recarsi al Quirinale». Pro­prio perché sa che il traguardo si è fatto d’improvviso più vici­no, Bersani vuole muoversi con il massimo di prudenza, co­me si conviene ad un premier in pectore.

Attenti, ha avvertito - citando maliziosamente Esopo- il sena­tore Pd Marco Follini: «Se il Ca­valiere è lo scorpione (che se­gue il suo istinto) noi dovrem­mo cercare di non essere la ra­na (che lo asseconda)». Ricono­scendo che c’è un interesse «to­talmente speculare» tra Pdl e Pd ad una accelerazione verso il voto che lasci intatto il tanto esecrato Porcellum: prima sa­ranno le elezioni, più facilmen­te Bersani e i suoi potranno in­cassare consensi sulla spinta delle primarie (e della fase ca­lante che sta oscurando Grillo), chiudere alleanze alle proprie condizioni evitando defatigan­ti trattative e­gestire la composi­zione delle liste elettorali. È pro­prio sul fronte del Porcellum, in­fatti, che l’exploit berlusconia­no toglie le castagne più bollen­ti dal fuoco ai propri avversari politici: solo due giorni fa, il braccio destro bersaniano Ro­berto Speranza confidava che per il Pd era difficilissimo resi­stere al «pressing incalzante del Quirinale» per una revisio­ne della legge elettorale, cui pri­ma o poi si sarebbe dovuto cede­re. Così, invece, la responsabili­tà di affossare ogni idea di rifor­ma e di introduzione di «tetti» per il premio di maggioranza se la assume il centrodestra, e al Pd non resta che organizzare in fretta e furia qualche «consulta­zione » pubblica regionale sulle candidature (per primarie vere e proprie non ci sarà il tempo, e poi nessuno sa come farle), e ri­servare una sostanziosa quota di nomi alla segreteria, perché come ha spiegato Bersani in Parlamento ci vogliono anche «gli esperti».

La linea l’ha data ieri pomerig­gio, nell’aula di Montecitorio, il capogruppo Dario Franceschi­ni, in un intervento concordato parola per parola con il leader Pd: «Vogliamo che sia chiaro da­vanti a tutti chi ci sta trascinan­do verso la crisi», per «scaricare i problemi interni di un partito sugli italiani».

La responsabili­tà è tutta di Berlusconi e del suo Pdl, che vuole «bloccare il de­creto sull’ineleggibilità» e «te­nersi le liste bloccate», mandan­do «in fumo la riforma della leg­ge elettorale». «Fidatevi, stase­ra al Nazareno si brinda», chio­sa a fine giornata il direttore di Europa , Stefano Menichini.

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