Dunque, da un rapido calcolo possiamo concludere che secondo la sentenza della Corte di Oslo contro Anders Behring Breivik, 21 anni in carcere, egli, per ognuno dei 77 ragazzi ammazzati uno a uno, paga poco più di tre mesi di galera. E che galera: perché quelle norvegesi non sono come le nostre, hanno la vista sui boschi, l'aria condizionata, la tv in cella e danno ai detenuti la possibilità di lavorare e ricrearsi. Lo scopo è il recupero, e di questo ci rallegriamo. E ci congratuliamo perché la pena di morte è bandita. È anche (...)
(...) una bella cosa che un criminale come Breivik abbia avuto un processo corretto, identico a tutti gli altri, in cui due giudici togati sono stati affiancati da tre giudici popolari, e abbiamo la speranza che sia ottemperata quella norma che consente di rinnovare la condanna se il criminale dovesse essere ritenuto pericoloso alla fine della breve pena.
Ok. Ma poiché siamo persone di normale buon senso e non angeli - come invece forse pensano di essere i norvegesi e gli altri europei che cercano di costruire non società giuste ma società perfette - ci dispiace invece assai che quel disgustoso assassino di Breivik abbia avuto solo 21 anni. Ci dispiace che i giurati gli abbiano stretto la mano quando il processo è iniziato, ci fa vergognare che gli sia stato consentito il saluto nazista quando è entrato in aula, che abbia potuto tenere un discorso ideologico in cui ha spiegato per ben più della mezzora concessa la «necessità», così l'ha chiamata, dello sterminio di massa di ragazzini (alcuni avevano 14 anni) per reagire al multiculturalismo del partito al governo che teneva in quel disastroso 22 luglio 2011 la festa della gioventù, sede della fucilazione dei ragazzi.
La società norvegese ha cercato di superare sé stessa, il dolore dei genitori e il comune buon senso ipotizzando l'idea pazzesca che nel 2033 un Breivik redento possa tornare a girare per strada, magari salvaguardato nelle sue convinzioni naziste, nel sorrisetto con cui avvertiva: «Io sono sano di mente, se mi definite pazzo ricorrerò».
Il rischio di sfruculiare in una ferita troppo grande per questo Paese tanto sicuro di sé e tanto poco disposto a mettersi in causa ha probabilmente condotto la corte norvegese a dichiarare Breivik normale. Certo hanno funzionato le sue minute disquisizioni politiche e le sue precise deposizioni fattuali. Ma i pazzi lucidi esistono, e la Norvegia forse avrebbe dovuto ammettere che questo era il caso, rinchiudere il suo mostro in un manicomio e gettare la chiave. 77 vuol dire 77. Oppure, doveva avere il coraggio di cambiare la legge per fare giustizia vera, non quella da cartone animato che nasconde la verità del dolore, dell'esagerazione, dello scorno. La Norvegia è in tutto un Paese strano, molto bello, un paradiso apparente, ricco di illusioni su se stesso e sulla natura umana, che evidentemente non ammette che un grande disastro come quello procurato da Breivik la scuota troppo a fondo. È sì molto ricco, ma per un Pil che fuoriesce insieme con il petrolio; con poca criminalità anche perché la gente, dove c'è poca densità di popolazione, non si spinge, ma si sfiora. Ha grande cura del sistema scolastico, della sanità, dell'organizzazione sociale in genere, ma ha un tasso di suicidi giovanili in crescita. Una ragazza su sette ha tentato di morire, i ragazzi un po' meno. La prostituzione organizzata è proibita, ma non lo è prostituirsi; su 100mila persone 174 sono coinvolte in crimini per traffico di droga, mentre in Italia per esempio, lo sono in 57. La Norvegia si dipinge sempre come paladina dei poveri e degli oppressi, ma non protesse i suoi ebrei dai nazisti, come invece per esempio fece la vicina Danimarca; anzi, con gli ebrei ha sempre avuto un brutto rapporto di rifiuto, aumentato da quando ha un alto tasso di immigrazione. Le sue élite sono state a suo tempo simpatetiche verso il comunismo, antiamericane, anti-Nato. Le sue leggi, le sue istituzioni, riverberano un sogno di purezza terzomondista che al fondo immagina i diritti umani come qualcosa che capisce meglio degli altri, per cui il diritto di Breivik a un processo «fair» e a una punizione che consenta il riscatto, avviene oggi a spese del dolore indicibile di famiglie distrutte per sempre e con la soddisfazione dell'assassino di massa. Insomma, i sogni di perfezione spesso ignorano come è fatto l'animo umano, in cui alligna il bene, ma anche il male.
segue a pagina 13
Micalessin a pagina 13
di Fiamma Nirenstein
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