Brutta aria a sinistra se la Fiat è il Nemico

Dalla Consulta alla Boldrini, così la Fiat che rompe a sinistra è diventato il nemico

L'amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne
L'amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne

La Fiat è diventata il nemico. Per carità, nulla di nuovo sotto al sole. Questa volta però c'è un sapore diverso. Per anni, e con buona ragione, si è accusato il gruppo torinese di socializzare le perdite e privatizzare i guadagni. Oggi si vuole che la Fiat di Marchionne faccia, per una sorta di contrappasso, l'inverso: socializzi i suoi profitti fatti grazie alla scommessa vinta in America, e privatizzi (cioè si tenga in casa) le perdite che deriverebbero dal far girare a pieno regime gli stabilimenti italiani.
Bisogna capire una volta per tutte che le imprese, ci piaccia o meno, le gestiscono i manager o i proprietari. Non le sigle sindacali. Queste ultime hanno ovviamente un ruolo importante, soprattutto nella grande impresa, ma non si può pensare, come abbiamo letto ieri e avant'ieri, che siano i dirigenti della Fiom a stabilire quali modelli produrre e come farli. I sacerdoti hanno un ruolo importante nel rapporto con i loro fedeli. Ma siamo ancora di quella scuola (minoritaria forse) che non ama vedere i preti fare i sit in davanti ad una fabbrica. E non perché la stanno chiudendo. Ma al contrario: la dirigenza di quel sito produttivo ha deciso di far fare gli straordinari ai propri dipendenti invece di riassorbire i cassintegrati. Facciamola semplice. Vogliamo che siano preti e sindacalisti a guidare il nostro futuro industriale? Avvertiamo i lettori: se rispondete sì, avete in testa l'Iran o la Russia, ma quella sovietica, e non un Paese occidentale. E cerchiamo anche di non dire sciocchezze sul modello tedesco di cogestione delle fabbriche. Ma vi rendete conto che la Fiat ha fatto un referendum con i suoi operai per adottare un modello contrattuale innovativo (e certamente più pesante per i dipendenti) che è stato approvato in maggioranza dai suoi lavoratori e sigle sindacali. E in virtù del nuovo contratto si è limitata ad applicare la legge sul lavoro (articolo 19). Applicazione che poi la Corte costituzionale ha incredibilmente bocciato. Il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni, in una lunga lettera ieri a buon ragione scriveva: «L'Italia è un Paese in preda ad una totale paralisi. Non c'è decisione che non corra il rischio di finire sotto la tagliola della Corte costituzionale, del Tar o del Consiglio di Stato». Altro che Germania. Le decisioni importanti in Italia si devono codecidere non con le parti sociali, ma con il giudice competente. Altrimenti si è fritti.
La metamorfosi della Fiat è dunque quella di essere diventata un nuovo nemico, dalla pelle diversa rispetto a quella assistenziale del passato. Un nemico che ha rotto il gioco dell'omologazione «de sinistra», in cui l'Avvocato era maestro. Ha cambiato i contratti, ha sbattuto la porta alla Confindustria della Marcegaglia che più che alle imprese pensava al futuro politico dei suoi membri, ha pensato al profitto, che è l'unica stella polare per un'impresa capitalistica che non voglia raccontare balle. Ha parlato chiaro e scandalizza le persone per bene a partire dal presidente della Camera. Insomma, sta cercando di fare il suo mestiere in un Paese come il nostro in cui conviene sempre tenere la testa un po' bassa, tanto poi una soluzione si trova. O al peggio si fallisce. Meglio saltare che mettersi contro la Fiom. Nel primo caso si è sfortunati e si viene assistiti. Nel secondo si diventa dei paria e neoliberisti o neocapitalisti, insomma con il neo.
Tutto bene dunque nella gestione di Marchionne? Mica tanto. Dei torbidi si addensano quando dice, come ha fatto ieri, che investire qualche milione di euro nella fallita (di fatto con 380 milioni di euro, tale è) Rizzoli Corriere della Sera è per la Fiat strategico. E no, caro Marchionne. Non si può essere a corrente alternata.

Se lei ci convince che nell'auto in Italia non si investe finché non c'è una prospettiva di mercato, come fa a buttare tanti quattrini nella fabbrica della Rizzoli, dove non si vede alcuna luce alla fine del tunnel?

di Nicola Porro

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