La buona cucina? Uccisa dal salutismo delle giovani donne

Guai a chi porta in tavola salsicce alla brace, bandite anguilla e cipolla stufata, il vino non si tocca. Così i piatti tipici muoiono. Sostituiti dagli eco cibi

La buona cucina? Uccisa dal salutismo delle giovani donne

Sono un misogino conclamato e quindi posso permettermi di scrivere quello che nel mondo della ristorazione si sa ma non si dice: le donne, in particolare le giovani donne, stanno uccidendo la cucina tradizionale. Un crimine di cui le sospettavo da tempo ma solo da poco ho cominciato a raccogliere le prove, da quando un bravo cuoco del Cremasco mi ha confidato, con voce mesta, che nel suo locale è stato costretto a inserire in carta qualche piatto di pesce. Perché costretto? gli ho chiesto facendo il finto tonto. Perché, mi ha risposto, i giovani e le donne, e quindi in particolare le giovani donne, i tipici piatti cremaschi a base di maiale e di oca non li vogliono nemmeno vedere da lontano, e se io insistessi con una cucina tutta di territorio il mio locale morirebbe con la morte dei miei vecchi clienti. E allora vai di branzino e di spada, pesci il cui successo dimostra, fra l'altro, che quella del chilometro zero è una moda squisitamente mediatica e verbale: branzino e spada, nella Bassa Lombarda, non sono a chilometri zero, sono a chilometri mille.

Siccome non sono un magistrato per condannare qualcuno non mi accontento delle mie impressioni e di un'unica testimonianza, quindi mi sono messo a cercare riscontri. A cuochi e ristoratori ho chiesto subito il nome del loro piatto più sessualmente divisivo, quello che una giovane cliente non ordinerebbe nemmeno col coltello puntato alla gola. «Le braciole di cinghiale, le costate di vacca, la pecora alla rizzola, le salsicce alla brace» risponde Beniamino D'Agostino del Grano e vino di Gravina di Puglia, cittadina già pastorale. Marcello Spadone della Bandiera di Civitella Casanova, sempre entroterra, sempre Sud (un po' meno Sud, trattandosi di Abruzzo), si mostra sconsolato: «Il pubblico femminile rinuncia sempre più ai piatti che ci rappresentano. Solo gli uomini scelgono l'agnello, le animelle, i fegatini lardellati...». E possiamo immaginare lo stato d'animo di un grande cuoco-cacciatore, Lucio Pompili del marchigiano Symposium, costretto nella triplice morsa di animalismo, vegetarianesimo e dietismo: «Le donne sotto i trentacinque non mangiano più, non bevono più.

Da me resiste la beccaccia perché spesso viene condivisa dalla coppia». Viva l'amore, quindi. Un altro famoso cacciatorista, Igles Corelli, racconta che da lui sono gli uomini a ordinare il germano reale, mentre le donne, pur trovandosi a Pescia, Toscana interna, preferiscono l'insalata di crostacei. Iacopo Di Bugno del Punto, a Lucca, punta il dito sulla femminilizzazione del gusto che emargina perfino alcuni vegetali: la cipolla stufata, ad esempio. L'ostracismo donnesco può accanirsi addirittura contro i pesci, qualora non vengano percepiti come tali: «L'anguilla è gustosissima ma piace solo a una clientela preparata e soprattutto maschile» dice Massimiliano Poggi del Cambio di Bologna. Anche Claudio Pregl della Baita Santa Lucia, in Trentino, è stato costretto a inserire pesce in carta riuscendo tuttavia a salvare uno storico piatto macho, lo stinco di maiale al forno, «quello da quasi due chili, che sarebbe per due persone ma qualcuno lo divora da solo».

Al Valtellina, casa della cucina valtellinese a Milano, «il rognone di vitello trifolato è un piatto maschile al 95%», dice Paolo Manfredi. A proposito di tradizioni a rischio ecco il bollito, un tempo gloria della cucina padana oggi relegato nelle riserve: al Motta di Bellinzago, tempio carnivorista da me già elogiato su queste pagine, il carrello è un piacere per soli uomini, spregiato dalle donne che ripiegano sui primi.

Dalla ginecocrazia omologante e sregionalizzante si salvano in parte i ristorantissimi, laddove fascino dei luoghi, carisma dei cuochi, abilità dei maître orientano la comanda, così capita che al Pescatore di Canneto sull'Oglio anche molte signore e signorine, me lo racconta Antonio Santini, sperimentino le lumache altrove osteggiate. Ma sono eccezioni. Per onestà intellettuale ho interpellato anche un paio di cuoche donne. Sara Preceruti della Locanda del Notaio, nella comasca Val d'Intelvi, ha negato l'esistenza del fenomeno (l'avrei fatta arrestare per falsa testimonianza...

), mentre Rosanna Marziale delle Colonne di Caserta messa alle strette ha confessato: «Ammetto che la pezza di bufalo è ordinata più dagli uomini che dalle donne». Adesso ho le prove: in tutti i ristoranti d'Italia le donne minacciano l'esistenza dei piatti e degli ingredienti più locali e peculiari. Il movente? Magari ne parliamo la prossima volta.

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