Milano - Col senno di poi: una provocazione stolida, una bravata di cattivo gusto. Raccontate e vissute dall'interno, le due ore in cui l'allarme antrace ha bloccato la redazione del Giornale come, pochi minuti dopo, quella del Corriere della sera, non hanno avuto nulla di scherzoso. Non l'hanno presa sul ridere i vigili del fuoco del nucleo speciale, che hanno rispedito al suo posto senza tanti complimenti anche un vicedirettore che pretendeva di lasciare la redazione prima dei controlli; nè la Digos nè l'Asl, che hanno bloccato quattro impiegati, due giornalisti e anche due poliziotti della scorta del direttore Alessandro Sallusti, pure loro entrati forse in contatto con la busta. Spogliati, coperti con la tuta bianca, chiusi tutti e otto in una stanza in attesa dei primi risultati delle analisi. Se qualcuno si è divertito a spedire la busta, e più di qualcuno - come dimostrano i commenti su Internet - si è divertito a fare lo spiritoso su quanto stava accadendo, forse avrebbe dovuto vedere da vicino l'esperienza toccata ieri pomeriggio non a Silvio Berlusconi ma a otto lavoratori colpevoli solo di essere al loro posto.
Le lettere arrivano nelle due redazioni milanesi con il giro della posta del mattino, e vengono aperte dopo pranzo. Al terzo piano di via Negri, segreteria di redazione del Giornale, dalla busta bianca scritta a stampatello esce una spessa polvere grigia e un messaggio un po' sconnesso: «Berlusconi senatore a vita... Saranno assassinati Berlusconi e Giorgio Napolitano. Il traditore della patria», e la firma «Gruppo armato a difesa del popolo». La lettera viene subito bloccata nella teca di plexiglas ermetica che serve per casi di questo tipo, ma è difficile sapere quanta polvere si è sparsa nell'ufficio. I primi agenti a intervenire sono due poliziotti della scorta di Sallusti: due presenze fisse che proprio ieri erano in servizio per l'ultima volta accanto al direttore del Giornale cui la Prefettura di Milano ha revocato la scorta a causa della «mancata esposizione a rischio», in attuazione di una circolare «taglia scorte» voluta dal ministro Anna Maria Cancellieri quando era titolare degli Interni (dalla Prefettura di Milano fanno sapere in serata che Sallusti non è l'unica «personalità» ritenuta non più bisognosa di protezione).
I due poliziotti danno l'allarme, in via Negri arrivano l'Unità chimico nucleare dei Vigili del Fuoco, la via viene bloccata, la segreteria di redazione e tutti i suoi occupanti (poliziotti compresi) isolati. Mentre iniziano i rilievi, scatta un allarme identico in via Solferino, al Corriere. E qui le cose si complicano, perché si scopre che di squadre per gli allarmi chimici e batteriologici a Milano ce n'è una sola, con due soli kit di intervento, ed è già impegnata presso il Giornale. Oltretutto al Corriere la situazione è resa critica dal malore di una donna. E come se non bastasse c'è il ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi che in quel momento è in redazione, a colloquio col direttore De Bortoli, e non si capisce se sia entrato anche lui in contatto con la busta e debba essere quindi messo in quarantena insieme agli altri.
Mentre la polizia presidia via Solferino, sotto la redazione del Giornale vigili del fuoco e Asl organizzano con la Digos la messa in sicurezza della busta del sedicente «Gruppo armato», dei locali della redazione e soprattutto degli otto sospetti contaminati. La prima ipotesi è di inviare subito gli otto all'ospedale Sacco per bonificarli: piccolo problema, i poliziotti sono armati, anche la pistola potrebbe essere contaminata e andrebbe passata in autoclave, ma ovviamente gli agenti non possono separarsene. Alla fine l'Asl decide di tenere gli otto in redazione, chiusi in una stanza, in attesa che dall'Ufficio di igiene di viale Juvara arrivi la prima analisi del materiale: quella definitiva arriverà chissà quando dal laboratorio nazionale di Foggia. «Viale Juvara ci dirà qualcosa intorno a mezzanotte», prevedono i vigili del fuoco.
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