Leggo le carte e cerco di non credere a quanto vi è scritto. Mi riferisco all'inchiesta della magistratura sulle spese sostenute da consiglieri e assessori della Regione Piemonte. Se il materiale raccolto - indizi, prove o come le volete chiamare - dai pm riflette la realtà dell'amministrazione, c'è poco da stare allegri. Nel dossier c'è di tutto e di più. I signori politici ne avrebbero combinate di ogni colore e ora sarebbero in difficoltà nel giustificarsi. Nulla di astratto, molto di concreto: spese personali caricate in modo spericolato sul gobbone dei contribuenti senza che qualcuno ne controllasse la legittimità.
Piccole cose, si dirà. Peccati veniali, dato che le cifre non sono enormi, ben lontane per entità dalle stecche cui ci avevano abituati i ladroni incastrati da Mani pulite. Tuttavia fa impressione scoprire che i rappresentanti del popolo in Regione agissero con tanta faciloneria, e usiamo questo termine per gentilezza, ossia facendosi rimborsare trasferte mai fatte, acquisti dubbi per non dire assurdi. Insomma siamo nuovamente di fronte alla miseria di gente che approfitta del posto conquistato grazie ai voti del popolo per vivere al di sopra delle proprie possibilità.
Esemplifico: uno si siede sullo scranno consiliare, o matura il diritto a invadere un ufficio regionale, e si sente autorizzato a farsi rimborsare qualsiasi capriccio: dal caffè alla cena, dai vari generi di conforto ai cocktail. Un elenco impressionante di investimenti idioti che non attengono affatto all'attività politica. In due parole: quelli della casta hanno sperperato - stando alle contestazioni della Procura - un monte di denaro per rendersi la vita meno agra. E ci sarebbero riusciti alla grande. Peccato che quel monte di denaro non fosse loro, ma attinto dalle casse pubbliche. Il che dà l'idea dell'incoscienza e della disonestà degli eletti, uomini e donne che, quando irrompono nel Palazzo, si sentono autorizzati a compiere qualsiasi nefandezza, dei padreterni al di sopra di ogni regola, di ogni legge.
Tra l'altro non si riesce a comprendere come essi pensassero di farla franca, di passare inosservati nel momento in cui mettevano le mani sulle nostre palanche. Che oltre a ladri siano scemi? Cominciamo a temere che sia così. Non soltanto i partiti inseriscono nelle liste dei votabili i personaggi meno idonei dal punto di vista delle capacità, ma scelgono - premiandoli - i più deficienti, i quali difatti si fanno beccare con le mani nella marmellata come bambini. Viene voglia di prenderli a calci nel deretano, altro che spedirli in tribunale affinché siano giudicati dalle toghe rosse, verdi o nere che siano.
I ladri di galline di una volta suscitavano addirittura simpatia, giacché agivano in stato di necessità: avevano fame e, spinti dal desiderio di saziarsi con polenta e galletto arrosto, facevano strage di pollame. Non avevano altre chance per soddisfare l'appetito. Ma questi fighetti grattano a tutto spiano per abboffarsi nei ristoranti della nouvelle cuisine, per accaparrarsi un telefono cellulare ultimo modello. E fanno schifo. Sono costoro ad alimentare l'antipolitica, a incrementare il disgusto per le istituzioni cosiddette democratiche, ad allontanare i cittadini dalle urne.
I furfantelli della Regione Piemonte sono in buona compagnia. Prima di loro si sono distinti i fetenti della Regione Lazio sfuggiti al controllo della presidente Renata Polverini, la quale poi, data la propria cecità, è stata gratificata con una poltrona in Parlamento. E sorvoliamo su Franco Fiorito e sui suoi epigoni sparsi in varie zone d'Italia.
Non è questo il momento di stilare l'elenco dei farabutti. Semmai è giunta l'ora di abolire non soltanto il monte premi in dotazione ai partiti che occupano gli enti territoriali, ma anche di eliminare gli enti stessi, partendo proprio dalle Regioni sulla cui dannosità siamo tutti d'accordo, tranne coloro i quali le saccheggiano sistematicamente con il pretesto di amministrarle. Venti Regioni impegnate a sperperare gli introiti fiscali dello Stato sono troppe in assoluto.
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