Caso Mediaset La strategia della difesa

L'ultima partita, quella decisiva, si giocherà su due fronti: da un lato in punta di diritto, le norme processuali non rispettate; e dall'altro in punta di fatto, perché se è vero che la Cassazione non può entrare nel merito è vero anche che non può confermare una condanna sulla base di una «prova logica» non suffragata da prove materiali, la presunzione, cioè, che Berlusconi, anche se faceva il premier, sapeva quel che accadeva a Mediaset.
L'avvocato Franco Coppi, il principe del Foro che per il ricorso alla Suprema corte contro la condanna al processo Mediaset (4 anni di cui tre coperti da indulto, più cinque anni di interdizione dai pubblici uffici) il Cavaliere ha voluto affiancare al suo difensore storico, l'avvocato Niccolò Ghedini, è uomo cauto. Ma in un'intervista a Il Sussidiario.net il celebre penalista, che vanta la difesa con successo di tanti imputati eccellenti (per tutti il defunto Giulio Andreotti), appare fiducioso. «Miriamo all'annullamento (della condanna, ndr) – dice – e avendo fatto ricorso ovviamente pensiamo di avere buone ragioni a sostegno delle nostre tesi. In generale riteniamo che, da un lato, vi siano state serie e numerose violazioni di norme processuali, dall'altro che non sia stata data dimostrazione convincente della partecipazione materiale ai fatti che sono stati ritenuti reati, dato e non concesso che quei fatti siano realmente stati commessi». L'avvocato Coppi elogia il comportamento di Berlusconi di fronte al verdetto della Consulta che gli ha negato il legittimo impedimento. Ma sottolinea che «stando al comunicato rilasciato dalla Corte ci sono dei problemi che restano aperti. È evidente che il presidente del Consiglio non può motivare il cambio di programma in alcune circostanze legate a questioni di riservatezza o di sicurezza.

Se i servizi segreti comunicano al premier che quel tale giorno Palazzo Chigi sarà a rischio di attacco terroristico, dovrebbe forse rivelare tutto ai giudici per spiegare le ragioni del rinvio?». Tranchant il giudizio sul caso Ruby: «La tesi accusatoria è, quantomeno, piuttosto audace».

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