Cene segrete e trame sul Colle: le prove del complotto anti Cav

Prima di Geithner, diversi testimoni avevano gettato ombre sulla caduta di Berlusconi. L'ex premier Zapatero: "Silvio fu accerchiato". Quei contatti tra Monti e Napolitano

Cene segrete e trame sul Colle: le prove del complotto anti Cav

La prova decisiva è arrivata: nel 2011 il governo legittimamente eletto di Silvio Berlusconi fu vittima di un golpe architettato fuori dall'Italia (con la fattiva collaborazione e ideazione di Angela Merkel e Nicolas Sarkozy) ma che godeva di importanti appoggi interni, soprattutto quirinalizi. Con le rivelazioni dell'autobiografia dell'ex segretario al Tesoro Usa, Timothy Geithner, arriva la conferma che la crisi dello spread era solo un pretesto per commissariare l'Italia e metterla nelle mani di un esecutivo compiacente. Il capogruppo di Forza Italia alla Camera, Renato Brunetta, ha raccolto in un dossier intitolato «Il complotto» tutta la recente pubblicistica sui fatti accaduti tra l'estate e l'autunno del 2011.
La raccolta di testimonianze inizia proprio dalle parole di Geithner contenute in Stress test, il suo memoire appena pubblicato negli Usa. «In quell'autunno - scrive - alcuni funzionari europei (non se ne specifica né l'identità né il ruolo, ndr) ci contattarono con una trama per cercare di costringere Berlusconi a cedere il potere; volevano che noi rifiutassimo di sostenere i prestiti dell'Fmi all'Italia, fino a quando non se ne fosse andato». Insomma, l'Unione europea - che voleva ingabbiare Roma con i prestiti internazionali - cercava una sponda negli Usa per disarcionare il Cav, ma Washington si oppose. «Parlammo al presidente Obama di questo invito sorprendente, ma non potevamo coinvolgerci in un complotto come quello. “Non possiamo avere il suo sangue sulle nostre mani”, dissi», aggiunge Geithner.
Il reporter Peter Spiegel ha pubblicato sul Financial Times un articolo che corrisponde precisamente alle affermazioni dell'ex segretario al Tesoro. «“I think Silvio is right” (Penso che Silvio abbia ragione), disse nel 2011 il presidente Obama, schierandosi con Berlusconi contro l'idea di lasciar commissariare Roma dal Fondo monetario internazionale», annotò Spiegel a proposito del G20 di Cannes del 3 e 4 novembre 2011 nel quale l'Italia fu accerchiata dai Paesi nordeuropei guidati dalla Germania. La cancelliera Merkel fu messa «nell'angolo, fino al punto che la sua voce fu rotta dalle lacrime», ma Obama non si fece intimorire e, alla fine si optò per «un comunicato finale del summit vago». La salita dello spread costrinse comunque il Cav alle dimissioni.
Circostanza confermata dall'ex premier spagnolo José Luís Zapatero nella sua autobiografia El dilema. «Ci fu una cena ristretta sull'Italia e il futuro dell'euro nella quale si mise il governo italiano sotto un duro martellamento perché accettasse il salvataggio del Fondo Monetario Internazionale e dell'Ue. Berlusconi e Tremonti si difesero con un catenaccio in piena regola». L'ex componente del consiglio Bce, Lorenzo Bini Smaghi, riferisce in Morire di austerità come a Berlusconi abbia nuociuto «l'ipotesi di uscita dall'euro ventilata in colloqui privati». Il leader di Forza Italia non ha mai minacciato i Paesi partner di abbandonare la divisa unica, ma ha espresso forti critiche alla gestione tedesca dell'unione monetarie. Critiche che gli sono costate il posto.
Renato Brunetta, tanto nel libro Il grande imbroglio quanto nelle sue ricostruzioni pubblicate dal Giornale, aggiunge altri particolari. «Alla vigilia del G20 il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, si rifiuta di firmare il decreto Sviluppo che attuava gli impegni presi dal governo con la Commissione e il Consiglio Ue, costringendo Berlusconi a recarsi al vertice “a mani vuote”». Un boicottaggio solo parzialmente smentito dall'ex portavoce del Quirinale, Pasquale Cascella, che precisò come anche Tremonti avesse chiesto a Napolitano di non firmare.
Alan Friedman in Ammazziamo il gattopardo, invece, ha raccontato come l'avvicendamento del Cav fosse stato predisposto già 4-5 mesi prima di essere costretto alle dimissioni. «Mi ha dato segnali in quel senso», dichiarò Mario Monti a Friedman a proposito delle «ricognizioni» effettuate dal capo dello Stato in epoca non sospetta, confermando le affermazioni di Carlo De Benedetti.

Anche Romano Prodi incoraggiò Monti che in quell'estate approfondì un eventuale piano di governo basandosi sul documento programmatico dell'allora capo di Intesa Sanpaolo, Corrado Passera. Era già tutto pronto. Bastava solo che qualcuno (Angela Merkel) desse il via al piano «Berlusconi deve cadere».

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