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Cento pugnalate a Prodi sconfitto per la terza volta

L'ex premier bruciato sulla strada del Colle dai franchi tiratori democratici. Lui sibila: "Mi ritiro, ma chi ha preso questa decisione si assuma le sue colpe"

Cento pugnalate a Prodi sconfitto per la terza volta

Cento coltellate, nemmeno Bruto e Cassio erano arrivati a tanto. Certo, Giulio Cesare era solo un prode romano che conquistò l'Europa e non un Romano Prodi ex presidente della Commissione Ue, ma insomma, l'agguato che si consuma al tramonto a Montecitorio lascia sul terreno molto sangue del Pd, un Parlamento paralizzato e un cadavere politico eccellente da rimuovere in fretta.

Il Professore si arrende all'ora di cena: «Il risultato del voto e la dinamica che è alle sue spalle mi inducono a ritenere che non ci siano più le condizioni. Mi hanno tradito per la terza volta, ne prendo atto». All'inizio ha provato a resistere, sperando nel quinto scutinio. «Sta riflettendo se mantenere o meno la propria disponibilità per la presidenza della Repubblica», spiegavano a caldo i suoi collaboratori, subito dopo la botta. Ma la risposta era scontata, Matteo Renzi l'aveva già anticipata. «La candidatura di Prodi non c'è più». Grazie, si accomodi e ci lasci lavorare. Così il Prof è rimasto in Mali, per un convegno Onu sul peace-keeping. E il il volo Bamako-Roma, farsi acclamare? Cancellato.

Ora però Romano è imbufalito e minaccia vendetta: io rimango per l'Africa, dice, ma Pier Luigi deve pagare: «Ritorno serenamente ai programmi della mia vita. Ma chi mi ha portato a questa decisione deve farsi carico delle sue responsabilità». Sì, c'è proprio rimasto male. Del resto, bisogna pure capirlo. Dopo un lungo e nascosto rullaggio, dopo lo schianto di Marini, la sua finestra di volo si è aperta in mattinata, quando Bersani ha fatto il suo nome correndandolo da un accorato appello all'unità del partito. Scene di giubilo, tutti in piedi ad applaudire, pronti alla prova di forza. Soltanto dieci ore dopo, nel segreto dell'urna, il Pd ha colpito, affondato e umiliato il suo creatore.

Centodieci voti di distanza dalla maggioranza, cento in meno anche rispetto alle forze messe in campo dal centrosinistra. Altro che franchi tiratori, il Prof viene letteralmente fucilato dai suoi. E siccome passarlo alle armi non basta, ecco anche due schiaffi, due graffi, i voti a Vittorio Prodi, suo fratello, e a Massimo Prodi. Guarda caso, Massimo come D'Alema, l'indiziato numero uno nella caccia ai mandanti.

Dunque, ancora una volta sono i numeri a fregarlo, è ancora un'aula parlamentare ad essergli fatale, è ancora un complotto a fargli sfuggire una poltronissima. Ricordate il '98, quando Cossiga e D'Alema lo sfrattarono da Palazzo Chigi? E dieci anni dopo, la sconfitta al Senato, 156 contro 161, per mano di Mastella e Turigliatto?

Ora la terza musata, forse la più dura. Prodi cerca di assorbirla così, ostendo un improbabile distacco. «Mi è stato offerto un compito che molto mi onorava, anche se non faceva parte dei programmi della mia vita e ringrazio coloro che mi hanno ritenuto degno di questo mandato». Lui però ci sperava sul serio. Aveva lavorato per mesi nell'ombra, si era ritagliato quell'impegno con l'Onu sulle rive del Niger proprio nei giorni delle elezioni per darsi un profilo internazionale. Da Bamako aveva pure telefonato a Casaleggio.

Poi, una volta in pista per il Quirinale, aveva prenotato il volo che via Parigi lo riportasse in Italia per la passerella trionfale. «Torno quando posso», le sue parole a Claudio Burlando. No, resta pure lì, gli hanno risposto dal Pd.

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