il commento 2 Il proibizionismo locale peggio del nazionale

di Mario Cervi

Quando vengono annunciate iniziative contro il giuoco d'azzardo -come i «comuni no slot»- la prima reazione del cittadino comune è favorevole, quando non entusiasta. Esperienze personali e letterarie ci dicono quali possono essere le conseguenze distruttive d'una passione per il giuoco che si sfoga capillarmente in città e paesi e che spesso perde la caratteristica accettabile d'una qualche propensione all'azzardo per assumere i contorni d'una dipendenza simile a quella dagli stupefacenti. Una crociata di sindaci e di amministratori locali contro questo autentico flagello sociale appare a tutta prima molto positiva. È vero che l'introduzione di nuovi divieti in una Italia dove già traboccano crea complicazioni. Ed è altrettanto vero che da un punto di vista pragmatico e arido il giuoco rappresenta, con il quattro per cento del prodotto interno lordo, un'attività imprenditoriale di prima grandezza. Si può ribattere che nel nome della virtù ogni severità è lecita, e che combattendo il male si fa sempre il bene. Che è il ragionamento degli intransigenti d'ogni età, da Catone il censore a Savonarola e a Saint Just.
Non sono un giocatore d'azzardo. Mi concedo al più partite di bridge, con poste modeste, in casa di amici. Fatico dunque a capire il cupio dissolvi di chi sta notti e notti in un casinò o imbambolato di fronte ai sortilegi di macchinette diaboliche. Ma non sono nemmeno un nemico dichiarato dell'azzardo. Da neutrale tendenzialmente favorevole alla battaglia contro le slot machine, avanzo tuttavia, per i provvedimenti di cui si discute, qualche obiezione. La prima è che se il giuoco d'azzardo conta quanto la Fiat, se ne deve occupare lo Stato ai suoi vertici e non qualche sindaco o parecchi sindaci, con una incentivazione dei particolarismi italiani. Già è difficile spiegare il perché dei tre casinò esistenti in Italia, e il no alla creazione di altri. Ma le rivendicazioni, le proteste, le accuse diverrebbero valanga quando sotto un campanile fossero ammesse le slot machine e sotto un altro, lontano tre chilometri, non fossero ammesse. Non fatico a immaginare il carico di lavoro di cui, in quel garbuglio, sarebbero caricati i Tar: chiamati a soddisfare gli zelatori del no alle slot e gli zelatori del sì. Una «scuola delle buone pratiche» chiamata in causa potrà forse redimere qualche scommettitore forsennato, ma non impedire che si scateni la passione italiana per il cavillo. Che non ha nulla da invidiare alla passione per il giuoco. I minicasinò, l'azzardo fai da te possono anche sembrare preferibili, nella loro rusticità, ai leggendari casinò nei cui giardini i granduchi russi rovinati si sparavano un colpo al cuore. Io non mi pronuncio.

Preferisco concludere con una esortazione che altrove suonerebbe superflua, ma che in Italia è necessaria. Lo Stato non sia né invadente né assente. Voler regolare troppo è dannoso. Lasciare che lo facciano a casaccio le piccole entità periferiche può essere catastrofico.

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