Le condizioni di Marchionne: norme certe o non investiamo

L'amministratore delegato della Fiat lancia un nuovo ultimatum: "Non mettiamo a rischio la sopravvivenza dell'azienda per colpa di regole che cambiano sempre"

Le condizioni di Marchionne: norme certe o non investiamo

La risposta alla Corte Costituzionale e quella alla presidente della Camera Boldrini erano attese e sono arrivate. Insieme a quella alla Fiom di Landini. Sergio Marchionne ha scelto il suo Abruzzo per saldare qualche conto aperto con l'Italia. L'occasione è una vista alla Sevel, stabilimento in val di Sangro che produce il furgone Ducato e per il quale ha annunciato un investimento da 700 milioni di euro.
Lo stile è quello di sempre: l'idioma è italiano, ma sembra un'altra lingua rispetto a quella che parla un bel pezzo di istituzioni del Belpaese. La sostanza questa volta è pesante. Da allarme rosso per la politica. «Prima di avviare qualunque altra iniziativa in Italia, abbiamo bisogno di potere contare sulla certezza di gestione e su un quadro normativo chiaro e affidabile». Tradotto: fine degli investimenti Fiat nello Stivale se non ci sarà la certezza che le regole non cambiano in corsa. «NON - scandisce l'amministratore delegato di Fiat - possiamo prenderci il rischio di un sistema che non garantisce norme certe». E ancora: «NON siamo disposti a mettere a rischio la sopravvivenza della nostra azienda».
Distante mille miglia dalle beghe di Palazzo italiano, ma il messaggio è ultra politico. L'Italia è «un Paese dove ogni certezza viene messa in dubbio, dove gli accordi si firmano, ma poi si possono anche non rispettare, dove una norma può essere letta in un modo, ma anche nel suo contrario». Il riferimento esplicito è alla sentenza della Consulta che nei giorni scorsi ha giudicato incostituzionale l'articolo 19 dello Statuto dei lavoratori, sulla base del quale la Fiat ha deciso l'esclusione della Fiom dal gruppo. Chiara l'accusa di Marchionne: i giudici hanno «ribaltato l'indirizzo» che la stessa Corte «aveva espresso in numerose occasioni» da quando, 17 anni fa, è in vigore la legge che esclude dalle trattative i sindacati che non siglano i contratti in azienda. Norma, peraltro, voluta dagli stessi metalmeccanici della Cgil, anche se nessuno lo dice, ha sottolineato Marchionne.
Prevedendo la tempesta, il leader della Fiom Maurizio Landini lunedì sera aveva mandato, via email, un invito a Marchionne a incontrare il sindacato «alla luce» della sentenza che «indica alle parti l'opportunità di superare le vie giudiziarie». Il manager italo canadese legge tutto di un fiato e per intero il messaggio e con un sorriso sottolinea l'abisso che lo separa da quel linguaggio. Poi risponde con un «sì» che non è difficile interpretare come un invito a Canossa.
Disposti a incontrarli, «tenendo come dato acquisito che non possiamo assolutamente mettere in discussione accordi già presi dalla maggioranza». In sostanza la Fiom deve riconoscere gli accordi presi dalla Fiat con gli altri sindacati, Cisl, Uil e Fismic Confsal e Ugl dai tempi di «Fabbrica Italia» in poi. La carota della rinuncia al ricorso alle toghe da parte delle tute blu Cgil, non basta.
Alla Fiat serve certezza, altrimenti sono a rischio il rilancio di Cassino e anche Mirafiori. L'amministratore delegato non ne parla ma i timori ci sono. «Ci sarà, farà tutti gli investimenti», assicurava ieri il segretario della Cisl Raffaele Bonanni, per il quale l'antidoto alle regole ballerine è l'accordo siglato da Cgil, Cisl e Uil, ma che non piace alla Fiom. Dello stesso avviso Luigi Angeletti della Uil. Entrambi avevano incontrato Marchionne poco prima della visita alla fabbrica del Ducato (furgone che copre il 30% del mercato europeo e sul quale è montato il 70% dei camper del continente, ha rivendicato il direttore Sevel Carlo Materazzo).
Di fronte a queste preoccupazioni, resta un po' ai margini la polemica con Laura Boldrini. Marchionne ne parla quando conferma tutti gli investimenti decisi. Non saranno messi in discussione, «ma non possiamo accettare che comportamenti violenti, di boicottaggio del nostro impegno, vengano considerati esercizi di diritti anche da autorevoli istituzioni». La presidente della Camera era stata invitata alla Sevel, ma non è venuta per precedenti impegni, senza rinunciare a denunciare «la gara al ribasso» sui diritti dei lavoratori.
Il manager è più appassionato quando parla dello stabilimento.

E, soprattutto quando loda la «tenacia degli abruzzesi» e si commuove. Quella «caparbia fiducia nel futuro che mio padre mi ha lasciato in eredità ed è qualcosa di radicato nella gente di qua». «Un vero abruzzese», commenta il corregionale Bonanni. Purtroppo per la Fiom e per Boldrini.

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