Così le banche strangolano le imprese

I prefetti controlleranno i banchieri. Il ministro Tremonti: "Non salveremo quelli che falliscono. E lo Stato vigilerà sul credito". Bossi: "Se non prestano soldi alle imprese, vado con Giulio a prenderli col passamontagna". "I nostri istituti di credito sono i più cari d'Europa"

Così le banche strangolano le imprese

nostro inviato a Busto Arsizio (Varese)

Dentro c’è «il grido d’allarme» dei piccoli imprenditori, fuori però «c’è da spostare una Jaguar», mica una Panda. «Eccoli gli ammortizzatori», scherza Giulio Tremonti, interrotto dalla comunicazione sul traffico cittadino. Risate, ma è proprio questa discrepanza che ha convinto il ministro dell’Economia a scegliere Busto Arsizio, convegno del consorzio dell’export dell’Alto milanese, per annunciare ciò che il governo farà per affrontare la crisi, «perché qui si vedono gli effetti del cambiamento», il Nord ricco che trainava l’economia e all’improvviso invece entra in banca e prende porte in faccia, qui non si fa più credito signori.
«Sarò lungo» avverte Tremonti, e infatti parte da Adamo ed Eva per spiegare una crisi che arriva dalla «scoperta economica dell’Asia dopo la guerra fredda e ha gli stessi effetti della scoperta geografica dell’America». Ma il concetto è presto detto: «Non serve leggere libri di economia, ma la Bibbia: noi dobbiamo salvare le famiglie, le imprese. Sarebbe inaccettabile salvare i banchieri falliti, anche se è quello che sta succedendo purtroppo in tante parti del mondo». E tanto per restare in tema: «Serve la saggezza del bonus pater familias, ma troppo spesso le banche hanno pensato più al bonus che alla familias». E allora urge «un cambiamento biblico». Eccolo: la circolare c’è già, mercoledì prossimo il ministro dell’Interno la illustrerà a tutti i prefetti italiani. Sopra c’è scritto che, sul modello francese, in ogni prefettura nascerà un osservatorio di vigilanza sul credito alle imprese e ai lavoratori da parte delle banche. Perché sia chiaro che non è che il governo fa i bond patrimoniali a favore delle banche, «10 miliardi di euro che devono attivare finanziamenti per 150 miliardi», e le banche «se li fregano». E che saranno esclusi dagli aiuti gli istituti che si ostinano nella «follia speculativa dei contratti derivati, perché i loro profitti sono le nostre perdite». Cita Stalin, il ministro, «si domandava se fosse un reato più grave rapinare o fondare una banca», ma avverte, anticipando le critiche: «Non si tratta di commissariare le banche, né di anticapitalismo», ma solo di rispettare la Costituzione. Lo rilegge tre volte, l’articolo 47, «mai come oggi è il più importante»: «Lo Stato incoraggia e tutela il risparmio, disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito».
Al suo fianco c’è Umberto Bossi, che annuisce. Il ministro delle Riforme era andato pure oltre, entrando al convegno, dicendosi persino favorevole della nazionalizzazione: «Dico di sì, se serve a restituire quello che è stato tolto. Una volta c’erano le casse di risparmio, grandi banche che, alla fine della prima Repubblica, Dc e socialisti hanno pensato bene di svuotare. Il sistema produttivo era sostenuto da quello bancario, ma adesso è saltato tutto». Per poi aggiungere: «Serve un sistema di controllo legato al governo, perché noi abbiamo dato i soldi alle banche non perché siamo amici loro, ma perché li diano alle imprese». In realtà, quando Tremonti annuncia la convocazione dei prefetti, il Senatùr storce il naso: «Mica tutti sono all’altezza» grugnisce. E infatti, rassicura il collega, degli osservatori periferici «faranno parte, oltre a prefetti, associazioni industriali, sindacati, camere di commercio, anche la stampa», e persino «l’agenzia delle entrate, che può essere utile per trovare soluzioni fiscali per le imprese in difficoltà». Una sorta di «mediazione civile» che riguarderà tutto il credito, non solo gli istituti che usufruiranno dei Tremonti bond. E se poi non bastasse, «a farci dare i soldi ci andiamo io e Giulio col passamontagna» ride Bossi.
A proposito di fiscalità. «Mi pare di aver capito che l’Irap qui non sia tanto amata» sogghigna Tremonti dopo che tutti i relatori ne hanno chiesto a gran voce l’abolizione. «È frutto di una mente malata, ma chi l’ha introdotta (Prodi nel 1997, ndr) l’ha legata alla Sanità, quindi è difficile toglierla. Il vero colpo però - assicura - glielo darà il federalismo fiscale». Riforma che qui, in quel di Varese, raccoglie applausi e boati. C’è da registrare un Bossi affaticato, sul tema: «Non è facile: stiamo spingendo, resistendo, ma piano piano lo porteremo in Aula e servirà ad abbattere i costi». Di più, lo incoraggia Tremonti: «Servirà a togliere il bottino ai ladri». Dice il ministro dell’Economia che «l’Italia è un paese duale, da una parte c’è il centro-nord e dall’altra il sud». Nella parte più ricca del Paese «i servizi costano la metà e rendono il doppio, nel mezzogiorno costano il doppio e rendono la metà». Dunque «federalismo significa servizi e costi uguali per tutti. Non ci perde il sud, ma i ladri».
Certo, aiuterebbe un generale atteggiamento propositivo e non distruttivo, fa appello Tremonti. «Non voglio invocare la censura, ma ogni giorno c’è un tizio da qualche parte che dà una notizia negativa e viene ripreso prima dalle tv e poi dai giornali».

Il «tizio», dice, è «un irresponsabile che per farsi pubblicità e dimostrare la sua ragione di utilità, in effetti spesso dubitabile, trasmette sfiducia, facendo del male superfluo». Chi è il tizio? Dai politici agli analisti, chi ha orecchie per intendere intenda.

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