Crescita e lavoro, l'Istat boccia il governo

RomaIl governo o meglio il ministero dell'Economia, va alla guerra delle cifre. Non contro il solito osservatorio indipendente privato, né per frenare l'eccessivo pessimismo di qualche organismo internazionale. Questo succede spesso. Stavolta il ministero di via XX Settembre ha incrociato le spade con l'Istat, l'ente che sforna le cifre ufficiali che dovrebbero valere per tutti, privati e istituzioni, esecutivo compreso.
La fotografia dell'istituto di statistica è di quelle classiche, almeno di questi tempi. Sempre più disoccupati e più poveri. Con la prospettiva - e questa è in parte una novità - di una ripresa nel prossimo anno, che è però più lenta rispetto a quella prevista dal governo. Dopo il tonfo dell 1,8% di quest'anno, dal 2014 il Pil dovrebbe tornare a crescere dello 0,7%. La settimana scorsa Fabrizio Saccomanni aveva confermato la previsione ufficiale del governo: più 1,1 per cento.
E anche ieri il ministro dell'Economia ha difeso le sue cifre. Ci sono, ha spiegato, «opinioni leggermente diverse» con l'Istat. In particolare dovute alle «riforme strutturali che abbiamo intrapreso e alle misure per il rimborso dei debiti della pubblica amministrazione che sta procedendo bene».
Tecnico contro tecnici, in una disfida che non è solo un esercizio accademico su quattro decimi in più o in meno. Dalle statistiche che comprendono il Pil dipendono molte cose, ad esempio i margini di manovra per la politica economica. «Speriamo proprio che abbia ragione il ministro dell'Economia» perché, ha osservato il capogruppo Pdl alla Camera Renato Brunetta, se così non fosse «salterebbe l'intero impianto macroeconomico su cui si regge la legge di Stabilità», soprattutto perché «sarebbe a rischio il rispetto del parametro del 3% relativo al rapporto deficit/Pil, con conseguente riapertura della procedura per disavanzo eccessivo da parte della Commissione europea». Se l'Istat avesse ragione, l'Italia dovrebbe prenotare fin da ora una manovra correttiva per il 2014.
Prospettiva che è ben presente a tutti i livelli istituzionali. Tanto che ieri, festeggiando il giorno dell'unità nazionale e della giornata delle Forze armate, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha osservato che comunque «la coperta resterà corta».
Nel mezzo della disfida si è ritrovato il ministro del Lavoro Enrico Giovannini, che fino a sette mesi fa era presidente dell'Istat. Le previsioni dell'istituto, ha spiegato, «rappresentano uno stimolo per fare ancora di più». E poi, il rapporto indica che «se la fiducia crescerà si arriverà a una crescita intorno all'1% quanto previsto dal governo». Ma potrebbe anche andare peggio, riconosce lo stesso ministro. L'Istat ha preso in considerazione due scenari. In quello peggiore la crescita del Pil potrebbe fermarsi addirittura allo 0,4%.
Brutte notizie sulla disoccupazione. Crescerà per tutto l'anno in corso toccando quota 12,4% nel 2014. Il mercato del lavoro non risentirà della mini ripresa. Su questo Istat e governo convergono. I ruoli si invertono e il governo diventa più pessimista sul numero dei poveri. «Aumenterà rispetto ai cinque milioni stimati dall'Istat», ha previsto Giovannini.
Per quanto riguarda l'inflazione aumenterà, ma non molto, nonostante l'aumento dell'Iva dal 21 al 22% scattato in ottobre.

Una buona notizia? No, a frenare i prezzi di beni e servizi (e a compensare gli effetti dell'aumento dell'imposta che il governo non ha evitato) sarà «la perdurante debolezza dei consumi». Tasse più alte, e crisi, non possono che tradursi in minori consumi.

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