Dall'Ilva a Italcementi Il vizio dei magistrati di chiudere le aziende

Dopo i sigilli all'acciaieria di Taranto, tocca al gip di Velletri sequestrare lo stabilimento di Colleferro: "Camini fuorilegge"

Dall'Ilva a Italcementi Il vizio dei magistrati di chiudere le aziende

Ci risiamo. La magistratura arriva, piazza i sigilli e manda a casa gli operai. «Stile Ilva», lo ha definito già qualcuno, questo nuovo trend anti-fabbriche che sembra aver improvvisamente contagiato i palazzi di giustizia italiani.

Il seguito di Taranto si gira questa volta a Colleferro, dove i carabinieri del Noe, su disposizione del gip di Velletri Giuseppe Cairo, hanno sequestrato lo stabilimento Italcementi. Il direttore dell'impianto, Alfredo Vitale, è indagato per violazione delle norme Aia (Autorizzazione integrata ambiente) perché, secondo il pm Giuseppe Travaglini, titolare dell'inchiesta nata un anno fa, una parte dei camini della fabbrica non è a norma. Su 119 camini ne sono stati controllati 30 «e quattordici - scrive il gip nel decreto di sequestro preventivo - sono risultati non conformi alle prescrizioni in quanto non dotati di prese di campionamento o sbocco verticale». Per il gip «appare assolutamente evidente che il protrarsi di tale situazione costituisca fonte di pericolo generale per gli scarichi in atmosfera».

Inoltre per la magistratura il sequestro è da adottare perché «vi è il concreto pericolo che la libera disponibilità dello stabilimento possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato connesso o consentire la reiterazione dello stesso o di altri reati». Il giudice ha concesso all'Italcementi dieci giorni di tempo per presentare un piano per mettersi in regola, altrimenti alle 10 di lunedì 22 ottobre l'impianto sarà spento. Nello stabilimento di Colleferro lavorano circa 200 operai. Decisamente preoccupato il sindaco di Colleferro, Mario Cacciotti, che ha convocato per oggi i tecnici dell'Arpa, i carabinieri del Noe e i rappresentanti della Italcementi. «Speriamo che non sia una nuova Ilva - ha dichiarato il sindaco - tra dipendenti e indotto ci sono circa 500 famiglie che ruotano attorno alla fabbrica. Se dalle indagini dovesse venire fuori che è stata danneggiata la nostra città, il Comune potrebbe costituirsi parte civile».

Quanto all'Ilva, l'altra fabbrica dove la magistratura è intervenuta pesantemente, ieri doveva essere il «D-day», quello in cui sarebbe scattato il giro di vite della Procura e dei custodi sullo stabilimento con l'avvio delle operazioni di spegnimento degli impianti per porre fine all'inquinamento. In realtà la disponibilità dell'Ilva a fermare dal primo dicembre l'altoforno 1 e le batterie di cokeria collegate, l'annuncio che questo stop non provocherà personale in esubero perché i 942 addetti saranno tutti ricollocati nella fabbrica e molti anche nel risanamento dello stesso impianto, ma soprattutto il fatto che Bruno Ferrante, presidente dell'Ilva, abbia messo a disposizione dei custodi il personale tecnico che servirà per tutte le fermate, hanno allentato un poco le tensione. Ma resta ovviamente in primo piano la preoccupazione per il futuro degli 11.500 dipendenti diretti del siderurgico di Taranto, ai quali vanno aggiunti alcune migliaia dell'indotto.

Intanto prosegue il braccio di ferro sulla sorte dell'altoforno 5 dove custodi e azienda sono attestati su tempi diversi, i primi ne chiedono lo spegnimento immediato mentre l'azienda per ora ha solo affidato a una società uno studio tecnico e stabilito lo spegnimento dell'altoforno 5 tra metà e fine 2015. Avant'ieri, incontrando Ferrante, i sindacati hanno sottolineato che aspettare due anni e mezzo per l'altoforno 5 significa provocare un nuovo intervento della Procura.

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