
Roma - Disoccupazione, deindustrializzazione, Pil sovrastimato. Pratica discutibile quella di utilizzare gli indicatori economici per misurare, a breve termine, le performance dei governi. Ma la sfortuna dell'esecutivo Letta con i dati sta diventando preoccupante. Soprattutto per chi intende sostenere le sue ragioni, basandosi sulle performance dell'economia. Ieri, proprio mentre il premier alla Sorbona di Parigi auspicava il passaggio da politiche di rigore a quelle pro sviluppo, l'Istat dava conto di un mercato del lavoro sempre più compromesso. Oltre 6 milioni di persone in Italia non lavorano, ma vorrebbero farlo. Ci sono tre milioni di disoccupati doc, poi altri 2,99 milioni di scoraggiati. In tutto sei milioni di persone sono tenute ai margini e difficilmente troveranno una soluzione ai loro problemi con la legge di Stabilità, perlomeno nella sua formulazione attuale. Lo hanno sottolineato i sindacati. I dati Istat sono «desolanti», è l'opinione di Luigi Sbarra della Cisl. «Il governo deve fare di più e meglio: trovare le risorse da investire per lavoro ed infrastrutture», ha auspicato Antonello Di Mario, direttore di Fabbrica e società, rivista dei metalmeccanici Uilm. Servono segnali di fiducia anche secondo Coldiretti, che ieri ha diffuso i suoi dati, calcolando in circa sette su dieci la quota di italiani che temono di perdere il lavoro.
Ci si sforza a trovare indicatori positivi. E un più 0,2% nei consumi di agosto nei giorni scorsi è stato presentato come un barlume di speranza. Difficile rappresenti una svolta in una situazione degli acquisti che è stata definita dalle associazioni dei commercianti come «la peggiore dal dopoguerra» e descritta con situazioni che vanno dalla rinuncia alla pausa pranzo, al ritorno del rammendo dei calzini. O con la più preoccupante emorragia sui carburanti. Solo in settembre, cinque tonnellate di petrolio in meno. L'economia non va. E tutti sanno che le previsioni del governo per l'anno in corso sono troppo ottimiste, così come le speranze di ripresa dal 2014. L'esecutivo ha rivisto al ribasso le stime di crescita del prossimo anno portandole a un punto percentuale in più di Pil. Ma tutti gli osservatori internazionali e italiani, sanno che, se va bene, sarà un più 0,7%. Colpa dei consumi che non riprendono. E che, secondo gli addetti al settore, non torneranno anche per colpa dell'aumento dell'Iva che - dati Confesercenti - farà chiudere 48 mila negozi entro l'anno. Nemmeno i conti pubblici danno buone notizie. È di pochi giorni fa il dato sul debito pubblico di Eurostat: 133,3 per cento. Tre punti in più rispetto all'anno scorso. Il secondo debito pubblico Ue più alto dopo la Grecia. A corredo della gragnola di dati negativi, un'indagine di Adnkronos segnala i ritardi sui tempi di pagamento delle buste paga.
Cinque piccole e medie imprese su 10 fanno registrare nell'ultimo anno almeno una mensilità pagata oltre il termine stabilito. I lavoratori pagano il conto della mancanza di liquidità causata anche dai ritardi dei pagamenti della Pa, che restano un problema.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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