Michele chi? Michele l'irresponsabile, Michele il populista, Michele lo showman, Michele il giostraio, Michele il narcisista. Michele il connivente col nemico. Anzi, Michele il nemico.
Dopo la sfida più seguita e polemica della storia televisiva della Repubblica, Michele Santoro non è più il Giornalista dalla Schiena Dritta, il Gran Perseguitato dell'Editto Bulgaro, la Vittima Sacrificale delle censure del Tiranno, l'Ultimo Baluardo dell'Antiberlusconismo. No. Tutto dimenticato, tutto capovolto. È bastato che dagli studi di Servizio pubblico Berlusconi uscisse ancora in piedi, quando invece in molti speravano fosse portato fuori in barella, o almeno in manette, ed ecco che Santoro per la Grande Stampa Democratica&Progressista è diventato immediatamente un populista, un uomo di spettacolo invece che di informazione, un debole, un colluso. Eppure Santoro ha fatto anche questa volta il proprio mestiere, quello di conduttore, peraltro sempre di parte. Ha fatto un talk molto meno show di tanti altri, una trasmissione di approfondimento, per di più, come sempre, orientata. Eppure...
Eppure i custodi della Morale e della Verità, i duri e puri dell'etica e della deontologia - perché anche nel giornalismo, non solo in politica, c'è sempre uno più puro di te - ieri hanno irriso Santoro, più di quanto siano soliti fare con Berlusconi. Hanno scritto che è stato troppo accondiscendente, troppo «empatico», troppo vicino. Lo hanno detto proprio a lui. A Michele. Al campione per un quindicennio, da Sciuscià a Servizio pubblico, del peggiore, viscerale, fazioso antiberlusconismo. È il mondo irreale di Berluscoro e Santoroni.
Francesco Merlo, su Repubblica, ha scritto che Berlusconi e Santoro hanno recitato in un'arena, «scritturati dallo stesso impresario come due vecchie glorie», che «è stato spettacolo, mai giornalismo», «era giostra e non sfida», «è stato tutto un sorridersi di compiacimento e di soddisfazione per averlo lì»... insomma ecco a voi «due nemici ridotti a compari». Compare. Michele Santoro adesso è un compare. Giovanni Valentini, sullo stesso giornale, sotto il titolo «Quando la politica diventa spettacolo» (nota bene: fino a oggi la trasmissione di Santoro era l'unica e ultima spiaggia dell'informazione libera e indipendente in un'Italia totalitaria soffocata dal conflitto d'interesse): «Ma a cosa è servita la trasmissione, oltre a fare audience e quindi a raccogliere pubblicità? A fare spettacolo, appunto, a vantaggio pressoché esclusivo dei due attori principali, interpreti e protagonisti di un copione non scritto, ma certamente non improvvisato e neppure originale». «I talk show non devono divertire». «Berlusconi controlla già direttamente una metà della tv italiana. E indirettamente una parte dell'altra metà. Non è il caso di consegnargli anche quel poco che resta». E il giorno prima Curzio Maltese, non era stato da meno.
E ancora. Aldo Grasso, sul Corriere della sera, dice che «vittima del narcisismo, Santoro ha finito per portare acqua al mulino di Berlusconi». Mentre Luigi La Spina su La Stampa, in un pezzo intitolato «Michele e Silvio. La strana alleanza di due populismi» («strana alleanza»? Ma Santoro non è sempre stato l'arcinemico del Cavaliere?, ndr), parla di una trasmissione «che ha sciorinato l'intero campionario del populismo di destra e di sinistra, in una sostanziale comunanza di idee» che ha rinvigorito Santoro e il «suo mito di superstar tribunizia della politica in tv» (strano, pensavamo che solo il Giornale potesse dare del «tribuno» a Santoro...). E l'Unità, in un commento di Sara Ventroni, gli dà persino del «masaniello». Oltre a puntualizzare come i due «si piacciono da morire», «hanno preso accordi sugli omissis e sulle luci dello studio» e che «non potevano che approdare a un epilogo zuccheroso: un idillio populistico». «Mancava solo il bacio».
Eppure, l'altra sera, ognuno ha fatto soltanto la propria parte, quella di sempre. Sia Berlusconi. Sia Santoro. Come si è chiesto ieri in un'intervista Travaglio: «Cosa dovevamo fare di più, menarlo?». Per certi democratici, sì.
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