L'Europa che non c'è: nessuna riforma prima del voto tedesco

Anche l'ultimo Consiglio Ue è stato inconcludente. Per non perdere voti la Merkel ha vietato il controllo della Bce sulle banche della Germania

La cancelliera tedesca Angela Merkel
La cancelliera tedesca Angela Merkel

Basta. Che noia! Doveva essere un Consiglio europeo storico, quello del 13 e 14 dicembre a Bruxelles, si è rivelato, ancora una volta, inconcludente. È stato così l'8-9 dicembre 2011 e il 28-29 giugno 2012, è stato così anche giovedì e venerdì scorso. Risultato della riunione dei capi di Stato e di governo? Un rinvio. Come tutte le altre volte. E non a date vicine o rilevanti dal punto di vista delle scadenze di politica economica previste dal semestre europeo. Ma a date ben calcolate per permettere alla cancelliera tedesca Angela Merkel di superare indenne le elezioni di settembre 2013 in Germania. Anteponendo, di fatto, gli interessi di un solo paese egemone a quelli di tutti gli altri paesi, di fatto sudditi.
Il Consiglio europeo della scorsa settimana a Bruxelles doveva finalmente avviare la realizzazione delle quattro unioni (bancaria, economica, politica e di bilancio), già presentate e discusse a ottobre 2012, volte a colmare le lacune derivanti dalla imperfetta costruzione dell'euro. Ebbene, tutto rinviato. A giugno 2013. Ci troveremo esattamente un anno dopo (la corrispondenze delle date è perfetta: 28-29 giugno il vertice del 2012; 28-29 giugno il vertice in calendario per il 2013) a discutere sugli stessi argomenti. Il presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, potrà risparmiarsi anche di stilare l'ordine del giorno: gli basterà riprendere quello di un anno fa e cambiare data. Si badi bene, però, che anche le conclusioni sono già scritte. È già previsto che non si deciderà un bel niente: tutto slitta a dopo le elezioni tedesche.
Un vertice che non è servito a niente? Beh, no. Qualcosa si è fatto. È stato sancito un accordo sulla vigilanza unica bancaria affidata alla Banca centrale europea. Andiamo a guardare l'accordo nel dettaglio. Al contrario di quanto davvero utile a una vera integrazione bancaria, il controllo diretto della Bce non sarà su tutte le banche dell'Eurozona (6.000 istituti), ma solo su quelle definite «sistemiche» (circa 200). E il sistema diventerà pienamente operativo il 1° marzo 2014. Anche in questo caso, dopo le elezioni tedesche. Ancora una presa in giro.
E non è una casuale coincidenza. Così come non è casuale la definizione del perimetro di controllo della Bce. La Germania non avrebbe dato via libera all'accordo se esso non fosse stato stilato come voleva la cancelliera Merkel. Vigilanza unica affidata alla Bce ma solo sulle banche di rilevanza sistemica. Assolutamente no sugli istituti regionali - le Landesbanken - o sulle casse di risparmio - le Sparkasse - dove in Germania si annida la più alta opacità e la più alta compromissorietà tra credito e potere politico locale. Bell'esempio di irresponsabilità.
Al primo semestre del 2013 e all'istituzione di un efficace sistema di vigilanza unico, inoltre, è stata subordinata la facoltà, da parte del Meccanismo europeo di stabilità, di ricapitalizzare direttamente gli istituti bancari dell'Eurozona. A ciò si aggiunge che, quando la ricapitalizzazione sarà finalmente possibile, questa potrà avvenire solo per debiti contratti dalle banche dopo l'avvio del sistema di supervisione unico. Tale decisione porta con sé l'abbandono della Spagna a se stessa. E viene meno l'obiettivo per cui il Mes è stato creato: fornire soccorso ai Paesi dell'Eurozona sotto attacco speculativo. Il contrario di quello per cui è stato pensato. Bell'accordo: la soluzione per la Spagna arriverà quando ormai sarà troppo tardi. E si rivelerà insufficiente. In altri termini, agli spagnoli oggi: arrangiatevi! Piuttosto che distruggere il sogno di integrazione di milioni di cittadini europei, la Germania, avrebbe dovuto garantire la crescita dell'Eurozona. Ma così non è avvenuto.
La riduzione dei tassi di interesse che si è verificata nell'Eurozona con la creazione della moneta unica, ha portato, a un surriscaldamento della domanda interna e delle importazioni. Ma il sistema di cambio fisso vigente nell'unione monetaria non ha consentito ai paesi caratterizzati da bassa produttività, cosiddetti «cicala», di rispondere agli squilibri con le tradizionali svalutazioni competitive. Subendo di fatto l'effetto di una rivalutazione monetaria e indebitandosi conseguentemente, con tutto ciò che ne deriva. Con la sequenza: deficit della bilancia commerciale; deficit della bilancia dei pagamenti; deficit della finanza pubblica.
Si è ampliato il divario tra questi paesi e i paesi «formica», che invece hanno capitalizzato, anche oltre il dovuto e contro gli altri Stati dell'euro, i risultati conseguiti con le riforme attuate tra la seconda metà degli anni 90 e i primi anni 2000. Anni, fino al 2003, in cui la Germania non ha affatto rispettato i parametri di Maastricht, arrivando addirittura a definirli «stupidi». Ma l'Unione dovrebbe basarsi su principi di solidarietà, non sulle recriminazioni. E gli interessi dei paesi cosiddetti «virtuosi» non dovrebbero essere contrapposti a quelli dei paesi considerati più deboli, bensì dovremmo comprendere le specificità di ciascuno di essi.
Non è un caso se negli ultimi tre anni gli interessi sul debito pubblico dei paesi «formica» si sono più che dimezzati (in Germania i rendimenti sono passati dal 3% medio del periodo precedente la crisi all'1,5%-1% attuale) a scapito dei rendimenti dei titoli di Stato dei paesi «cicala», il cui repentino aumento è noto a tutti (dal 4% medio a oltre il 6% in Italia).
D'altronde non c'è da stupirsi: tutto perfettamente in linea con l'egoistico disegno tedesco di egemonizzare l'Europa. Perfettamente in linea, anche, con la teoria dei «compiti a casa» in politica economica, che il premio Nobel Paul Krugman, in un editoriale dell'11 dicembre sul New York Times, ha paragonato alla medicina medievale: «salassare i pazienti per curare i loro malanni, e quando il sanguinamento li fa star peggio, salassarli ancora di più».
La soluzione, dunque, al di là di tutto quanto (non) fatto finora è una sola: i paesi che registrano un surplus nella bilancia dei pagamenti hanno il dovere economico e morale non di prestare i soldi, non di «salvare» gli Stati sotto attacco speculativo, ma di reflazionare. Cioè aumentare la loro domanda interna, trainando le economie degli altri. Si riequilibrano così anche i conti pubblici e tornano ai livelli fisiologici i tassi di interesse sui debiti sovrani. Quindi i tassi di crescita dei paesi sotto attacco speculativo.
Oggi in Europa sono in discussione quattro grandi scelte, fondamentali per il futuro. Il nostro paese appoggia il presidente della Bce, Mario Draghi, sull'unione bancaria. È favorevole all'unione economica, vale a dire al lancio di Eurobond, Stability bond e Project bond, e guarda con favore l'unione di bilancio, avendo approvato il Six pack negli anni di governo Berlusconi; votato il fiscal compact durante il governo Monti; approvato la modifica dell'articolo 81 della Costituzione in tema di pareggio di bilancio. Infine, il nostro Paese ha sempre avuto un atteggiamento favorevole sul rafforzamento delle istituzioni europee, attraverso il maggior ruolo del Parlamento europeo e l'elezione diretta del presidente della Commissione, fin dalle prossime elezioni del 2014.
Se guardiamo l'atteggiamento dei nostri partner europei sugli stessi punti, invece, abbiamo visto come (e perché) i tedeschi siano contrari all'unione bancaria e contro l'unione economica. La Francia non vuole alcun progresso in termini di unione politica, per non cedere quote ulteriori della propria sovranità nazionale. E sull'unione di bilancio Francia e Germania si accusano a vicenda, accampando altre priorità.
A questo punto, chi è più europeista? Il nostro paese o Angela Merkel? Già in due occasioni, la Germania autoritaria e nazista, con mezzi militari, ha distrutto se stessa e l'ordine europeo.

Quella di oggi, burocratica, egemonica e revanscista, la smetta di provarci ancora. Sarebbe la terza volta in cent'anni. Francamente è troppo. Ridateci la grande Europa, generosa, solidale, lungimirante, decisionista, di Adenauer, di Kohl, di De Gasperi e di Craxi. Ben diversa dalla miseria attuale.

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