E anche "Repubblica" rischia la scissione

Scalfari demolisce il Rottamatore, sostenuto da De Benedetti e dalla direzione. L'asse del fondatore con Napolitano e Letta

E anche "Repubblica" rischia la scissione

«Senti, ma com'è che siete andati a Firenze dove c'è Renzi, che non vi stava tanto simpatico fino a poco tempo fa?» chiede la Littizzetto a bruciapelo a Ezio Mauro, direttore di Repubblica, mentre inaugura la festa del quotidiano nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio, col sindaco Renzi e l'editore De Benedetti in prima fila. Il direttore sfugge all'imbarazzo con una controbattuta: «Ci hanno già preso in giro, dicendo che venendo qui dovevamo metterci il chiodo alla Fonzie (usato da Renzi ospite di Amici della De Filippi, ndr) come divisa d'ordinanza». Risate in sala, disagio sfumato. Perché proprio Ezio Mauro, solo un anno prima di farsi convincere «in dieci minuti» da Matteo Renzi a portare la festa di Repubblica a casa sua (e non a Genova, inizialmente opzionata), alla domanda «ti piace Matteo Renzi?» rispondeva: «Non particolarmente, ha aspetti bulleschi». Giudizio che nel «partito-Repubblica», diviso in correnti come il Pd, ormai sembra appartenere solo ad Eugenio Scalfari, ma non all'editore e neppure alla direzione.

Dopo l'editoriale con cui, domenica scorsa, ha stroncato Grillo («Se vince lui l'Italia a va a rotoli»), stavolta il fondatore usa il metodo Scalfari proprio con il nuovo prediletto di Repubblica, Matteo Renzi. Paragonandolo a Fabio Volo («Che non ho letto» precisa subito), fenomeno di massa privo di sostanza letteraria, Scalfari fa a pezzi la tuttologia renziana: «È un grande venditore di se stesso, al livello del primo Berlusconi (...) La sua riuscita politica rappresenta un'imprevedibile avventura e in politica le avventure possono giovare all'avventuriero, ma quasi mai al Paese che rappresenta». Il paragone dispregiativo tra Renzi e Berlusconi l'aveva fatto lo stesso De Benedetti, in epoca Primarie, quando liquidava il sindaco rottamatore così: «Renzi? Abbiamo già dato, non mi sembra il caso di riproporre un Berlusconi di sinistra... Di sinistra poi si fa per dire... Oltre a rottamare, brutta parola, cosa vuol fare? Non l'ho capito». Lì De Bendetti, e Repubblica compatta a ruota, stava con Pier Luigi Bersani. Con un endorsement palese dell'editore («Mi auguro che Bersani vinca le primarie. Lo conosco, lo stimo, è una persona per bene, mi dà un senso di tranquillità e stabilità, più di qualsiasi altro»). Pazienza che mesi prima, nel libro-intervista con Paolo Guzzanti, l'Ingegnere avesse fatto a pezzi proprio Bersani, definito «totalmente inadeguato come leader».

L'indice di gradimento si è invertito col frontale del Pd bersaniano alle elezioni, proseguito con la pantomima del corteggiamento a Grillo, concluso con il patatrac sull'elezione del Colle. Morto Bersani, per Repubblica, l'asso sui cui puntare è diventato Renzi. Non, però, per Scalfari, fedele all'asse Napolitano-Letta-Draghi. Tutti e tre, abbastanza irritualmente, ospiti per cena a casa Scalfari, affacciati su piazza della Minerva, una sera di settembre. La divisione in correnti di Repubblica, tra quella scalfariana pro Letta-Napolitano, e quella (maggioritaria) editore-direzione invece pro Renzi, provoca attriti. Sul caso Cancellieri, scoop di Repubblica, Scalfari non ha speso mezza riga.

Mentre l'artiglieria pregiata della direzione ha martellato per le dimissioni. Stessa linea, casualmente, di Renzi. Per nulla, invece, quella di Napolitano, e del suo più illustre interprete giornalistico, Eugenio Scalfari. Capocorrente lettian-quirinalizio dentro il «partito Repubblica».

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