Ecco la verità sull'oro di Santoro

L’ex dg Masi racconta i retroscena dell’addio del conduttore. Nel 2010, dopo aver raggiunto un accordo da 17 milioni, trovò il pretesto per fare dietrofront. Santoro punta dritto alla Rai: "Io direttore generale con Freccero"

Ecco la verità  sull'oro di Santoro

Roma - Una serie tv dal titolo «il si­gnor M », uno sceneggiato storico­giudiziario sull’Olocausto, una miniserie in giallo da girare a Pan­telleria... Ecco i format che Miche­le Santoro ha proposto alla Rai, nella primavera 2010, per «transa­re » la sua uscita dalla tv pubblica. I documenti originali escono per la prima volta, insieme al dettaglio della cifra monstre chiesta da San­toro (e approvata dal Cda Rai) per la rinuncia a tutti i suoi ricorsi con­tro l’azienda, oltre alla vendita, da produttore esterno, dei suddetti format della sua Zerostudio’s: 17 milioni di euro.

Pari a tre annuali­tà di stipendio (2.799.000 euro), 69.600 euro di ferie non godute, il Tfr, e 14 milioni più Iva per le sue miniserie. Tutto è raccontato direttamen­te dal protagonista di quella vicen­da, l’ex direttore generale di Viale Mazzini, Mauro Masi, in un libro­­intervista che ha generato un’enorme attesa (specie in Rai, visti i contenuti esplosivi...) e che esce a giorni, il 4 aprile. Eccolo qui, Un nemico alla Rai - 800 gior­ni «contro» nella tv pubblica (ed. Marsilio, pagg. 240), dove l’ex dg, intervistato da Carlo Vulpio, rac­conta la sua versione della (con­troversa) stagione Masi alla Rai, togliendosi molti sassolini e facen­do nomi e cognomi, accompagna­ti da giudizi a dir poco schietti ( Ma­si pratica la boxe, da giovane ha fat­to il parà, insomma le scazzottate sembra lo attirino).

Primo nome, quello di Santoro, con cui Masi chiuse un accordo nel maggio 2010, nato dalla volon­tà del giornalista. All’inizio, rac­conta Masi, «Santoro si comporta da trattativista scafato e manda da me, a negoziare la sua uscita pluri­miardaria dalla Rai, Lucio Pre­sta », cioè il manager di Antonella Clerici, Benigni e altri divi tv. Si di­scute e si arriva a quell’accordo, che il 18 maggio il Cda (presidente Garimberti incluso) approva. Poi, dopo pochi giorni, Santoro cam­bia idea: non vuole più lasciare la Rai (dopo aver espresso «soddisfa­zione » per l’accordo raggiunto), e riveste i panni della vittima della censura.

Ma perché? «Garimberti aveva fatto delle dichiarazioni un po’ a effetto e anche un po’ curio­se, visto che aveva votato a favore in cda,sulla libertà di scelta di San­toro (“ È una risorsa per la Rai e de­ve restare”, ndr ). Santoro ne tras­se pretesto per dire che se Garim­b­erti non avesse ritrattato pubbli­camente sarebbe saltato tutto, perché quelle parole - sosteneva Santoro - lo spiazzavano nei con­fronti del “suo” pubblico».

Masi chiama il presidente Rai e gli fa presente i rischi di un falli­mento della trattativa. Ma Garim­berti non muove un dito. Scrive Masi: «Credo che abbia visto l’oc­casione per farmi fare flop e l’ab­bia colta al volo», poco dopo aver ricordato che «era poco presente in azienda, si interessava per lo più di Rai Sport e di alcune questio­ni internazionali». Salta tutto: «Credo che a un certo punto San­toro, prigioniero del suo perso­naggio, abbia pensato che quel­l’accordo, vantaggiosissimo per lui e utile per la Rai, non sarebbe stato capito dal “suo” pubblico».

E se non ci fosse stata la clausola di esclusiva con la Rai per tre anni? ­chiede Vulpio. «Santoro avrebbe già bell’e chiuso l’accordo. Inve­ce, dovendo rispettare l’esclusi­va, si è ricordato del “suo” pubbli­co... » chiosa Masi, che in allegato pubblica tutto il carteggio con San­toro (che prima gli dà del tu, poi del lei,e poi fa scrivere dall’avvoca­to...). Annozero quindi torna nei pa­linsesti, dopo mille polemiche, inizia col vaffan...bicchiere a Ma­si, in diretta («un’offesa insanabi­le ») e prosegue con la famosa tele­fonata di Masi.

Perché la fece? «Forse ho commesso un errore» ammette Masi. Ma serve il conte­sto. Siamo in pieno Ruby-gate, e in Rai girava voce che quella sera Santoro avrebbe «mostrato imma­gini, foto o, meglio presunte foto, in ogni caso compromettenti, che riguardavano Ruby». Quindi Ma­si chiama in diretta, sbagliando, ma con una convinzione: «Se quel mio intervento “sbagliato”ha evi­tato che Santoro tirasse al massi­mo la corda, allora sono quasi con­tento di aver commesso quell’er­rore ». Mai più sentito Santoro da allora, tranne due incontri casua­li: «Nel negozio di Armani a Roma e al Grand Hotel delle Terme di Sa­turnia. Due posti, come tutti san­no, frequentati da profughi, mura­tori e giornalisti indignados...». Oltre alla vicenda Santoro, il li­bro è una miniera di aneddoti, an­che spassosi, sulla galassia Rai e i suoi abitanti.

I consiglieri di ammi­nistrazione e le loro richieste (quello che vuole raccomandare una ballerina zoppa...), lo sgo­mento dei massimi dirigenti quan­do Masi chiede quale gamba del capitano Achab sia quella di le­gno (e solo Fabrizio Del Noce az­zecca la risposta: Melville non lo dice mai), «l’immediata antipatia reciproca con Paolo Ruffini» (allo­ra direttore RaiTre, oggi La7), i po­teri dell’inossidabile «partito Rai», la saga degli aspiranti famosi che telefonano (spesso diretta­mente al direttore generale) per farsi ospitare in qualche program­ma, con i chirurghi plastici tra i più molesti («dei veri rompicoglio­ni »), seguiti da politici (per essere infilati nel «pastone» dei tg), atto­ri, soubrette che si autopropongo­no, giornalisti compresi. E del suo successore, Lorenza Lei,cosa dice Masi?L’ex dg rispon­de per le rime a una intervista in cui la Lei dice che quando si è inse­diata ha trovato i conti in rosso.

«Non voglio polemizzare... Ma il bilancio previsivo per il 2011, da me presentato, prevedeva un avanzo di oltre 20 milioni di euro. Il bilancio era parte del Piano in­dustriale 2010/2012 che ha per­messo di realizzare maggiori en­trate o minori spese per oltre 200 milioni. Aggiungo poi che il bilan­cio 2010, chiuso con 90milioni di disavanzo, era stato costruito in moda tale da far sì che il successi­vo potesse essere in attivo. Sono cose che la dottoressa Lei sa benis­simo. Forse è stata fraintesa». For­se. «Il pareggio di bilancio per l’esercizio 2011 è in larghissima parte frutto del mio Piano indu­striale. In Rai lo sanno tutti, anche se non lo dicono».

In un capitolo Masi spiega per­ché la governance Rai non può funzionare e va cambiata (il dg è ostaggio del Cda, di cui non fa par­te, che a sua volta non può appro­vare nulla che non sia proposto dal dg...), in una direzione che è molto simile al progetto Monti-Passera.

E infine sul Trani-gate e Berlusconi: «Mai, dico mai, ha esercitato pressioni nei miei con­fronti come direttore generale Rai». Ottocento giorni da nemico in Rai, «difficili, esaltanti, faticosi, mai banali». E qualche nemico in più dopo questo libro.

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