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La femmina dominatrice che odiava il femminismo

Altro che quote rosa: Thatcher era diventata premier sfidando un mondo maschilista. Ma del movimento di liberazione della donna diceva: "È veleno"

La femmina dominatrice che odiava il femminismo

Come ogni donna forte, Margaret Thatcher è stata amata e odiata, applaudita e perseguitata dalle critiche. Per di più era conservatrice, anticomunista e rivoluzionaria. Una vera leader politica, come ci vorrebbe in Italia in questo periodo: lei infatti ha saputo far risorgere il suo Paese, traghettandolo implacabile dalla depressione allo sviluppo economico.
Le sue forze sono state l'antistatalismo, l'antisindacalismo e l'antifemminismo. In una parola, si è sempre mostrata fermamente contraria a ogni forma di garantismo spicciolo, di pietismo, di assistenzialismo. Dando invece spazio al merito, alla competizione, all'autonomia privata. «I penny non cadono dal cielo, devono essere guadagnati qui sulla terra» affermava con durezza. Ragion per cui è stata molto invisa alla sinistra, per quanto Tony Blair condividesse molte delle sue idee.

E per quanto alcuni l'abbiano voluta persino dipingere come femminista e ne facciano oggi un'icona del femminismo: questo equivoco nasce forse dal solo fatto di essere stata una donna di potere al comando di un vasto drappello di uomini. O forse, ancora, perché lei stessa si diceva «costretta» a comportarsi da maschio nel deserto di uomini veri che la circondavano. La «Stella Rossa», il foglio dell'Armata Rossa, l'aveva definita satiricamente Lady di Ferro, nel ricordo del cancelliere Otto Van Bismarck, a sua volta un secolo prima soprannominato cancelliere di ferro. La Thatcher, da allora è sempre stata così chiamata, sia dai detrattori, sia dagli estimatori, con evidente valenza suggestiva di segno opposto. Ma la Thatcher non è mai stata femminista e la prova inconfutabile è data dal suo immancabile, categorico, filo di perle: si è mai vista una femminista che si adorni il collo con le perle? E lei infatti ha detto: «Odio il femminismo, è veleno». Del resto, le femministe del suo tempo l'hanno snobbata, conoscendo bene il suo conservatorismo e non condividendo la sua durezza contro gli scioperanti. Non hanno però forse mai digerito facilmente i suoi incontestabili palmares di donna determinata e vincente: prima e sola donna a guidare il partito conservatore inglese; prima e sola donna a diventare primo ministro; prima e sola donna a far parte del maschilissimo Carlton Club. Senza quote rosa, senza piagnistei, senza appoggi opportunistici. Intelligente e capace, ha lottato contro pregiudizi e tradizioni, si è imposta da donna, con eleganza e fermezza, in ogni confronto internazionale.

È stata una grande donna, perché la sfolgorante carriera non le ha impedito di essere una madre attenta e una moglie devota molto amata. Non era interessata al «sociale», politicamente contrabbandato come religione, bensì agli uomini, alle donne, alle famiglie. E infatti sosteneva «qualsiasi donna che conosce i problemi di gestione di una casa, sarà più vicino alla comprensione dei problemi di gestione di un Paese».

Ha onorato dunque la sua femminilità e la femminilità in genere. Indimenticabile la frase in un discorso pubblico nel 1982 «in politica, se vuoi che qualcosa venga detto, chiedi a un uomo. Se vuoi che qualcosa venga fatto, chiedi a una donna».

Poiché Maggie ha fatto molto per l'Inghilterra, la sua politica concludente e ricca di risultati, è stata chiamata thatcherismo, termine più spesso usato con aria sprezzante. Montanelli, a chi gli aveva chiesto se fosse stato possibile avere una Thatcher italiana, e se il thatcherismo qui potesse esistere, aveva risposto che dubitava potesse mai avverarsi. Perché la Thatcher, al massimo, avrebbe potuto essere prussiana (per il carattere) o americana (per l'ideologia «andate e arricchite»), mai italiana, mancandole l'istinto del compromesso e l'etica del «tutto s'aggiusta». Secondo Montanelli, un'italiana primo ministro, anche se simile alla Thatcher, non avrebbe mai avuto la forza di prendere di petto un dittatore arabo o di affrontare turbe di minatori in sciopero. Dunque, secondo Montanelli, un'ipotetica Thatcher italiana, dopo due settimane di guida del governo, si sarebbe seduta sui divani di Santoro alla ricerca di qualche accordo con gli altri politici ospiti. È bruttissima questa immagine, perché ancora oggi ci avvicina alla nostra inquietante realtà politica. Tuttavia è la cartina di tornasole di quanto rispetto e quanta autorevolezza abbia saputo, da sola, conquistarsi una donna («la figlia del droghiere» come spesso ha ribadito il principe Filippo) rinunciando a sfruttare privilegi e vittimismi dell'essere femmina e perseguendo valori e obiettivi senza subordinarsi ai maschi e senza scimmiottarli.
Ora è morta. E, per solo suo merito, è indimenticabile. Nel bene e nel male. Da oggi si riaprono le dispute pro e contro. Ma lei ha sempre sostenuto, e quindi ne sarebbe felice: «Amo il dibattito, amo le discussioni. Non mi aspetto che nessuno sia d'accordo con me».

Meravigliosa.

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