Il finto Barolo? "Made in Italy". Come il nostro autolesionismo

Basta un clic per acquistare il vino liofilizzato, ne esportiamo a tonnellate. Per chi vuol fare da sé c'è perfino il kit casalingo: polvere e acqua. Un orrore

Il vino in busta liofilizzato è prodotto in Italia. Nettare confuso con una bibita estiva. È autolesionismo: il finto Barolo è Made in Italy. Evidentemente, mentre la maggioranza dei produttori di vino si sforza per diffondere nel mondo l'ottimo vino e l'immagine di ciò che autenticamente è Made in Italy, altri preferiscono percorrere strade alternative. È sufficiente un clic per acquistare una confezione di Barolo liofilizzato. Oppure, a secondo dei gusti, è possibile avere le bustine di Cabernet Sauvignon, Montepulciano, Amarone oppure di «Valpolicella Style». Il procedimento è semplice: si compra il kit che contiene una busta di vino liofilizzato, le etichette da applicare alle bottiglie e il relativo tappo. Per i più esigenti è possibile ordinare anche dei trucioli di legno, che fanno molto barriques e tanto tannini. Come un'aranciata frizzante: basta aggiungere alla polvere di vino l'acqua, imbottigliare e tappare. Il Barolo in busta: che orrore! Ma costa poco. Il kit per sessanta bottiglie di Barolo 79,99 dollari più spedizione. Circa un euro a bottiglia. Stesso prezzo per l'Amarone o il Merlot. Quando, indicativamente, in Italia una buona bottiglia di Barolo costa una ventina di euro. Meritati. Sulle confezioni del vino fai-da-te appaiono simboli che richiamano l'Italia, come il Colosseo, la riproduzione di un paesaggio tipicamente toscano o il nostro tricolore. È l'Italian Sounding, quel fenomeno imitativo che danneggia l'economia sana del nostro paese. Non solo wine kit per la famiglia: per chi volesse produrre importanti quantità di vino usando i prodotti liofilizzati è possibile anche acquistare i meno scenografici bidoni da 25 chili. Ed ecco che il buon nome dei nostri vini pregiati diventa paragonabile a quello di una bibita estiva. Nulla di nuovo: in alcuni paesi del nord Europa è possibile, ed è legale, vendere il wine kit.

Mesi d'indagini hanno ricostruito parte della catena della produzione dei vini liofilizzati: dietro la produzione e la distribuzione vi sono alcune aziende italiane. La capofila è una nota azienda emiliana che raccoglie dai produttori il succo d'uva concentrato. Altro prodotto arriva dalla Spagna e da alcuni acetifici emiliani. Quindi, mezzo cisterne, il prodotto da due porti dell'Adriatico raggiunge il Canada. Probabilmente in Canada il mosto viene liofilizzato. La società che in Quebec si occupa del marketing e della commercializzazione dei wine kit ha come soci gli stessi della società emiliana. Dall'Italia non parte solo il succo di uva concentrato, ma anche le etichette, i tappi, i lieviti, gli estratti di castagno e quercia (li fornisce un'azienda con sede in Lombardia). Dal Canada i wine kit vengono esportati anche in alcuni paesi del nord Europa (Danimarca, Svezia e Inghilterra) dove la vendita è legale. Inoltre le confezioni dal Nord America sono inviate in Cina, Stati Uniti, Thailandia e Inghilterra. Da quest'ultima destinazione il prodotto arriva anche in Italia. Così il cerchio si chiude. Le confezioni per la produzione artigianale del vino si possono acquistare anche in rete. È sufficiente inserire nel noto sito di commercio elettronico Amazon (ma con l'estensione .com) la parola chiave wine kit per rendersi conto di come sia facile acquistare il Barolo in busta. Ciò che di tutta la vicenda stupisce, oltre allo svilimento del buon nome dei nostri vini e della nostra immagine, è che il giro del mondo delle buste di vino potrebbe non costituire reato. Probabilmente la nota azienda emiliana potrebbe presto venire accusata di frode in commercio.

Altre aziende che importano il prodotto dall'Inghilterra potrebbero venire interessate dall'inchiesta. Alle accuse, ai sequestri potrebbe seguire uno scandalo. Già, ma quanti anni per arrivare ad una sentenza? Quale danno per le aziende che seriamente producono vino autenticamente fatto in Italia?

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