Con rispetto parlando, Papa Francesco ha inaugurato la svolta populista della Chiesa. Populismo come primato degli umili, dei poveri, dei deboli, del popolo sulla gerarchia, della gente sull'istituzione, del linguaggio comune, semplice e diretto, sul raffinato linguaggio teologico di Ratzinger. Populismo come trasparenza, stare in mezzo alla gente, potere al servizio del popolo, come ha ricordato ieri Francesco ai potenti e agli impotenti convenuti ieri a San Pietro per l'imponente incoronazione. Sì, magari qualcuno storcerà la bocca per l'accostamento irriverente: ma che c'entra il populismo, è una categoria politica, forse mediatica, non religiosa. Odora troppo di Grillo e Berlusconi. E invece la matrice originaria del populismo è cristiana, evangelica, francescana. Deriva dal Popolo di Dio, dall'uguaglianza delle anime davanti a Lui, dal paradiso per tutti gli uomini di buona volontà, dal primato dei poveri e dei bisognosi. Sul versante opposto c'è la visione aristocratica e selettiva della vita, del potere, della società. Non a caso i primi movimenti politici del novecento che si ispirarono alla dottrina sociale della Chiesa si chiamarono popolari. Certo il popolarismo non è il populismo, ma a volte quanto gli somiglia...
Per superare la crisi della Chiesa, la scristianizzazione del mondo esterno e il degrado del suo mondo interno, si apre la scommessa populista e pauperista. Forse non basterà per rievangelizzare il mondo e risanare le piaghe della Chiesa, ma serve a rianimare la devozione popolare, sia nel povero sud del pianeta che nell'Europa ripiombata tra gli spettri della miseria. Quella è la via che vuol perseguire questo Papa «populista». O se volete una definizione più vezzosa, chiamatelo papulismo.
Per carità, Papa Francesco piace davvero alla gente. È un pretone alla mano, nonostante sia gesuita, è comunicativo e gestuale, parla il linguaggio dei parroci d'una volta, esprime una fede elementare in Dio e nella Madonna, parla del Diavolo e dei poveri. Il suo linguaggio ricorda i preti dell'infanzia, le bizzoche del catechismo, ma ricorda anche la Madonna dei poveri come chiamavano in Argentina Evita Perón. Nel suo richiamo ai poveri ci sarà forse una reminiscenza della sua gioventù argentina, oltre che un ricordo dell'emigrazione dei suoi genitori. Quel che invece è insopportabile è la stucchevole macchietta che ne stanno facendo i media per esaltarlo e presentarlo come un grillino della madonna o come la fonte di Uliveto & Rocchetta, ossia il duo Grasso e Boldrini, i presidenti della Salute. Rispettabili per carità, soprattutto il primo, ma rivenduti dalla grancassa mediatica come l'effetto della svolta epocale impressa da Papa Francesco. Eccoli, i primi frutti della svolta. Agli occhi ruffiani dei media diventano straordinarie le sue frasi più banali: ha detto Buonasera, che grande, ha detto Buongiorno, eccezionale, ha detto Buon pranzo, che forte. E poi ride, è spiritoso, ha detto ai giornalisti «avete lavorato, eh» (ma che c'è da ridere, scusate). Ha poi spiegato perché s'è voluto chiamare Francesco: ama i poveri, la pace e il creato.
Bene, ma non era un po' prevedibile? Perché si sarebbe chiamato Francesco, in omaggio a Totti o De Gregori? Ogni cosa che fa, per i media, aggira sempre il protocollo, è tifoso, ama il tango e aveva la morosa, spregia l'anello d'oro e si accontenta del secondo classificato, l'anello d'argento; e poi non usa le auto grandi, va a piedi, come la Boldrini, ha gli scarponi e cammina come un manovale... Ah quanto ci piace. E basta con la retorica della spontaneità e del Banal Grande. Certo, Ratzinger era su un altro piano; ma un Papa deve parlare ai popoli, ai devoti, ai poveri e agli ultimi, quindi capisco la svolta.
E poi un Papa caliente che ha avuto la fidanzata e ama i poveri, è già una polizza sulla pedofilia e il Vaticano spa. Va bene, ma voi smettetela di ripetere a pappagallo le cose più ovvie che dice Sua Santità. Non riducete Francesco a un cartoon per i poveri. Pauperino.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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