ParmaÈ stato l'enfant prodige della politica italiana, eletto a furor di popolo nel 2007 sindaco di quella Parma da tutti considerata «laboratorio e cantiere». Poco più di un anno fa, Pietro Vignali, classe 1968, si è dimesso mentre al suono delle manette la sua giunta veniva travolta dalle inchieste. La gente protestava con le pentole in piazza, aprendo la strada al ruggito dei grillini. Oggi Vignali, «rinato» commercialista, vuole mettere i conti a posto. «Il bilancio di Parma non è così tragico e la mia eredità non sono solo debiti».
Se il buco da 846 milioni non c'è, che cosa è successo?
«Ero il quarto o quinto sindaco in Italia per gradimento. Nei 13 anni di governo del centrodestra Parma si era dotata di infrastrutture che l'hanno resa moderna. Prima non avevamo nemmeno una tangenziale, i camion passavano per il centro».
Tutto bene, allora, ma la colpa è solo di una pessima squadra?
«Le responsabilità sono personali: anche per me è stata una doccia fredda. Poi la campagna di diffamazione del centrosinistra è stata feroce. Io mi sono dimesso senza essere indagato».
Che cosa imputa a se stesso?
«A Parma era arrivata l'Efsa (Agenzia europea per la sicurezza l'alimentare, ndr) e un piano di sviluppo straordinario poteva avere un senso. Rimpiango di non avere però compreso la portata della crisi: nel 2010 la situazione sembrava migliorare. Invece non fu così. Avrei dovuto fermare alcuni progetti».
Fermò invece il metrò: un'idea sproporzionata per una città di 190mila persone che vanno in bici.
«Lavorai col governo per ottenere una buona uscita, il più indolore possibile nonostante il costruttore dovesse essere indennizzato per il lavoro già avviato. Proprio il mio ultimo atto amministrativo ha riportato in città 71 milioni di fondi ex metro».
Dove sono finiti? Il neo sindaco Federico Pizzarotti piange miseria...
«I soldi sono arrivati quasi tutti. Ne destinai una parte al cantiere della nuova stazione, una parte al sociale. Il commissario prefettizio che mi ha sostituito, Mario Ciclosi, ha poi ridisegnato la loro destinazione. Ma le cifre non tornano».
Diamo qualche numero allora.
«Ciclosi ha raddoppiato l'Irpef e applicato l'aliquota massima dell'Imu. Pizzarotti potrà dunque godere ogni anno di 50 milioni in più di parte corrente rispetto a me. Uniti all'una tantum del fondo Ex metrò non è poca cosa. Il debito del Comune si attesta sui 165 milioni, 833 euro pro capite, in media con quello delle altre città italiane. Il vero problema è il patto di stabilità che blocca i pagamenti».
Il Comune secondo lei sta bene, malate gravi sono invece le partecipate?
«Si, per tre di loro la situazione è grave, ma la relazione del commissario Ciclosi fa confusione, considerando solo le passività e non il valore dell'attivo e del patrimonio. Un po' come acquistare una casa da un miliardo facendo un mutuo per 300mila euro e poi dichiarare solo che si ha un debito e non una villa di quel valore».
I grillini potevano fare di più in 100 giorni?
«Sul risanamento delle partecipate non credo, su altri temi bastava aprire i cassetti e sembra che lo abbiano fatto».
Che cosa significa: non parlerà da grillino?
«Mi sono letto il programma di M5S: mi trovo d'accordo con alcune scelte e molte iniziative si ispirano al nostro governo, dalla raccolta differenziata al sociale».
Che cosa non la convince allora?
«Un tempo pensavamo in grande ma ora si rischia di pensare troppo in piccolo. Vedo una città sporca: graffiti, verde non curato. Un sindaco deve pensare a questo da subito perché degrado chiama degrado».
Troppo presi dal tema dell'inceneritore che la magistratura ha di nuovo bloccato mettendo sotto indagine anche il suo predecessore Ubaldi?
«Pizzarotti ha agito come fosse all'opposizione e subíto la decisione del commissario di non rivolgersi al Consiglio di Stato, proseguendo un iter che avevo già avviato io».
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