È difficilmente contestabile, testi alla mano,(Ingroia, Zagrebelsky, Caselli, Travaglio, Di Pietro, Bonsanti, ecc) che è sceso in campo un nucleo militante caratterizzato - per dirla con Violante - da un «populismo giuridico» che ha come «obiettivo Monti e Napolitano». Sempre secondo Violante il populismo «di Berlusconi attaccava le procure. Questo cerca di avvalersene avendo individuato in quelle istituzioni i soggetti oggi capaci di abbattere il nemico e di affermare un nuovo ordine che non si capisce cosa sia» (Violante su La Stampa 20/08/2012). Da una parte e dall'altra c'è un durissimo scambio di colpi. Zagrebelsky arriva al punto di invitare Napolitano a ritirare il suo ricorso con la perfida motivazione secondo la quale «nel momento stesso in cui il ricorso è stato proposto è stato anche già vinto. Non è una contesa ad armi pari, ma, di fatto, la richiesta di una alleanza in vista di una sentenza schiacciante». Ma, oltre ai pm, uscirà sconfitta anche la Consulta «se, per improbabile ipotesi, desse torto al presidente, sarà accusata d'irresponsabilità, dandogli ragione sarà accusata di cortigianeria» (La Repubblica 17-08-2012). Raramente un ex presidente della Corte Costituzionale ha attaccato così a fondo un presidente della Repubblica in carica e ha messo così in scacco quella Corte da lui stesso un tempo presieduta. Anche i comprimari non scherzano. Di Pietro, riferendosi a Violante, evoca il Vishinsky di cossighiana memoria. Quanto a Sandra Bonsanti, riferendosi sempre a Luciano Violante, Emanuele Macaluso, a l'Unità e al suo direttore Claudio Sardo parla di «linea staliniana».
Il senso politico di questo contrasto è quello definito da Antonio Polito che ha rilevato che «nel mondo intellettuale e politico democratico che si riunì prima intorno alle inchieste giudiziarie contro Craxi e poi contro il suo erede Berlusconi, si è aperta una profonda frattura». Sotto le bandiere di Mani Pulite, infatti, si ritrovarono insieme due componenti della sinistra italiana fino ad allora lontane quando non nemiche: la sinistra di provenienza marxista e quella di origine azionista: entrambe videro nell'azione palingenetica della Procura di Milano e delle sue emule l'unica via possibile a una «rivoluzione democratica». Nasce allora quella idea del potere giudiziario come difensore dei deboli e degli oppressi contro i potenti e i forti. (Corriere della Sera, 28-08-2012). Allora, per ciò che riguarda il passato facciamo a Violante due osservazioni: il «populismo giudiziario» nasce allora, ha un nome preciso, quello di Di Pietro. Per gratitudine nei confronti delle omissioni compiute nel corso delle indagini a Di Pietro il Pds prima regalò un seggio, quindi un gruppo parlamentare. Poi Violante fornisce una interpretazione unilaterale di ciò che avvenne ai tempi di Tangentopoli e di Mani Pulite: Tangentopoli è stato un «sistema» che dagli anni Quaranta in poi, in vario modo, ha coinvolto tutte le grandi imprese pubbliche e private e tutti i partiti, Pci compreso, e invece Mani Pulite ha usato due pesi e due misure nella sua liquidazione salvando alcuni gruppi industriali e finanziari (in primis la Fiat e De Benedetti) e distruggendone altri (in primis Gardini), eliminando alcuni partiti (in primis il Psi, il Psdi, il Pri, il Pli), salvandone un altro (il Pci) e rispetto alla Dc facendo una scelta per correnti (fu «sommersa» la destra democristiana e «salvata» la sinistra).
Il tritacarne del circo mediatico giudiziario riprese a funzionare quando, nella stupefazione generale, dal 1994 in poi Berlusconi riuscì a coprire lo spazio politico di centro rimasto politicamente sguarnito dopo le cannonate giudiziarie. Secondo e più recente elemento di stupefazione è stato rappresentato dal fatto che ad affondare il governo Berlusconi nel novembre 2011 non sono state la sinistra e l'apparato giudiziario ma il meccanismo europeo in quanto tale con la forza degli spread e dei mass media e un nuovo tipo di potere tecnocratico. Nel bene e nel male, con degli elementi di mediazione e di razionalità, tutta questa operazione è stata intermediata da Napolitano e poi realizzata da Monti, con una iniziativa che ha sottratto il controllo del governo a Berlusconi, ma non l'ha consegnato a nessuna forza della sinistra. Il risultato è lo strano ircocervo che oggi governa l'Italia, il cui unico vero punto di equilibrio, e anche di iniziativa, è costituito dal ruolo svolto da Napolitano e dalla Presidenza della Repubblica. Orbene, una serie di forze giudiziarie, e anche mediatiche e politiche, entrate in campo ai tempi di Mani Pulite e poi successivamente utilizzate contro Berlusconi, non accettano adesso di «rientrare in caserma» e di lasciare libero il campo al ruolo di mediazione e anche al ruolo mediatico di Napolitano e delle forze politiche e tecniche attualmente in campo sia di centro-destra che di centro, che di sinistra. Queste forze - in primo luogo Ingroia e alcuni suoi colleghi, un partito personale come l'Idv, Il Fatto, uno spezzone di Repubblica, un pezzo del sindacato, la Fiom - pensano che, in seguito alla crescente antipolitica, esse e non certo un personaggio banale e neutro come Grillo, possono cavalcare il «populismo giudiziario» e quello antipartitico per conquistare direttamente il potere, anche se i contorni dell'operazione finale non sono ancora chiari neanche ai suoi protagonisti. Quello che è evidente è che per avere campo libero queste forze vogliono che venga messo fuori gioco, in condizione di non nuocere e di non interferire, l'unico soggetto istituzionale che ha il prestigio e la forza per determinare o favorire una mediazione che rimanga sul terreno della politica, anche di una politica che sia condizionata dalla tecnocrazia. Queste forze vogliono cavalcare fino in fondo il giustizialismo (vedi l'appello de il Fatto), ma anche le tensioni sociali indotte dalla crisi economica: di qui l'alleanza con la Fiom e il ruolo di Zipponi nell'Idv.
A nostro avviso questo è il progetto che sta in campo. Certamente esso non ha in sé serie possibilità di vittoria, ma ha una sua forza che deriva dal fatto che il giustizialismo e il massimalismo - e non il riformismo e la socialdemocrazia - hanno finora costituito la piattaforma autentica del Pds e oggi del Pd, della Cgil, di vasti settori del mondo giudiziario, mediatico, culturale e giornalistico. Da qui discende il fatto che si apre una partita dagli aspetti assai inquietanti, per non dire eversivi - che cambia molti ruoli tradizionali - della quale tutti devono avere piena consapevolezza. Mentre, anche alla luce di ciò che oggi afferma Bersani, non vediamo i termini di una grande coalizione; costituirebbe certamente una risposta a questo disegno destabilizzante il fatto che i due schieramenti alternativi che si confrontano eliminino dal loro armamentario l'uso politico della giustizia. Ci rendiamo conto che per alcune forze del centrosinistra ciò rappresenterebbe una sorta di rivoluzione culturale ma, o esse vanno oltre il giustizialismo tradizionale, oppure esse stesse saranno vittime dei demoni che hanno scatenato.
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