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Renzi parla ma (per ora) non spiega

Renzi presenta il programma di governo al Senato: "Sia legislatura di svolta per il futuro". E punta a restare a Palazzo Chigi fino al 2018. Nel piano lo sblocco dei debiti alle imprese, il taglio del cuneo fiscale, i fondi di garanzia per le pmi e la riforma della giustizia

Renzi parla ma (per ora) non spiega

"Cari senatori, votatemi e vi cancellerò". Matteo Renzi si presenta nell'Aula di Palazzo Madama augurandosi apertamente di essere l'ultimo presidente del Consiglio a dover chiedere la fiducia al Senato. Un augurio che segna subito il passo del pacchetto di riforme che vuole farsi approvare dal parlamento per governare fino al 2018. Dall'Italicum allo sblocco totale dei debiti della pubblica amministrazione, dal taglio del cuneo fiscale alla riforma della giustizia sono solo alcuni dei punti di un piano pretenzioso. Che ha un semplice vizio di forma: manca di consistenza. Perché aldilà del lungo elenco Renzi non va.

"Avremmo preferito un chiaro mandato elettorale, ma propongo che questa sia la legislatura della svolta". Ricorda di non avere l'età, Matteo Renzi, citando Gigliola Cinquetti. Non ha l'età per essere eletto senatore. Un espediente anagrafico che puzza di reverenza posticcia. "Ci avviciniamo in punta di piedi e con rispetto profondo e non formale che si deve a quest’Aula e alla storia del paese che qui ha un simbolo", assicura. Ma è solo forma. Perché, oltre a ricordargli che "presto smetteranno di divertirsi", non manca di sottolineare la propria appartenenza al Pd, "partito che non ha paura di presentarsi" alle elezioni. Tanto che le "scelte radicali" annunciate porteranno proprio quel marchio di fabbrica. "Sulla legge elettorale e le riforme costituzionali si è raggiunto un accordo che va oltre la maggioranza di governo - promette - quell’accordo lo rispetteremo nei tempi e nelle modalità prestabilite". Non si lascia zittire dai grillini, che provano più volte a urlargli contro, e tira dritto ai punti cardine del programma che spazia dai nodi più alti, come la giustizia, il mercato del lavoro e la riforma fiscale, alle esigenze più local, come l'edilizia locale, le periferie da "rammendare" e gli argini da rifare. Un programma che, agli occhi del neo premier, servirà a rilanciare un Paese "arrugginito" che, mai come oggi, necessita di "sogni e coraggio".

Dopo un ampio preambolo sull'Europa, "troppo spesso considerata come la nostra matrigna", Renzi chiede "un cambio radicale della politiche economiche e provvedimenti concreti". Tra questi ci saranno sicuramente lo sblocco totale dei debiti della pubblica amministrazione attraverso un diverso utilizzo della Cassa depositi e prestiti, una riduzione a doppia cifra del cuneo fiscale, la costituzione di fondi di garanzia per sostenere le pmi, la sburocratizzazione del pachidermico apparato pubblico. Misure importantissime che, però, non vuole slegate dalle riforme costituzionali e della giustizia. Proprio per questo, a marzo partiranno contemporaneamente la riforma del Senato e quella del Titolo V. La prima sarà incardinata a Palazzo Madama, la seconda a Montecitorio. "Con quale credibilità possiamo dire che è urgente intervenire sulla legge elettorale - chiede provocatoriamente - e poi perdere l’occasione del contingentamento dei tempi?". E per stare al passo coi tempi programma anche una "revisione organica" della giustizia.

Nel lungo discorso programmatico Renzi sorvola sull’effettiva entità degli interventi dal punto di vista della spesa e della copertura economica. Come se avesse smarrito il foglio Excel di cui ha parlato molto nelle scorse settimane, illustra velocemente tutta una serie di obiettivi (molti anche condivisibili), ma con una preoccupante vaghezza. Non manca, per esempio, di ricordare i marò ingiustamente trattenuti in India, ma si guarda dallo spiegare come intende riportarli in Italia. Lo stesso vale per la riforma della giustizia che il premier cita senza però declinarla. A conti fatti Renzi parla di una angoscia nel rapporto tra politica e cittadini che porta alla sensazione di un'Italia vista come un Paese che ha giocato le tutte le sue carte: "Noi abbiamo deciso di cambiare".

Peccato che non si sia sprecato a spiegare come intende fare.

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