Rinvii, qualche misura «pop» dal sapore quasi elettorale (tagli delle auto blu, assunzione dei presidi e norme per i precari) e tante facce scure. Nel giro di pochi giorni l'aria è cambiata a Palazzo Chigi e negli altri palazzi del governo. Ufficialmente resiste l'ottimismo da comunicato stampa, ma l'autunno per l'esecutivo guidato da Enrico Letta sembra essere arrivato in anticipo.
La ripresa del lavoro dopo le ferie (peraltro non previste quando il governo carburava) è iniziata a rilento. Il consiglio dei ministri di ieri, con un ordine del giorno leggero leggero, si è arenato dopo appena tre ore. Iniziato in ritardo e finito presto, con un rinvio a lunedì. Ufficialmente per motivi tecnici, in realtà per difficoltà su un provvedimento (il pacchetto sulla pubblica amministrazione) che era già stato depurato dalle parti politicamente pericolose.
Al termine della riunione alla conferenza stampa non si sono presentati né il premier Letta, né il ministro interessato, Gianpiero D'Alia, titolare del dicastero della Pubblica amministrazione. A illustrare il consiglio il sottosegretari alla presidenza del consiglio Filippo Patroni Griffi. È stato raggiunto «un accordo tecnico e politico sul contenuto» del pacchetto Pa, ha spiegato assicurando che «l'approfondimento si è reso necessario per distribuire queste norme tra decreto e disegno di legge. Seduta aggiornata a lunedì. Maggioranza permettendo. Perché tutto sembra remare contro l'esecutivo delle larghe intese.
È di giovedì l'uscita del ministro Pd renziano Graziano Del Rio che ha rilanciato l'idea di una riforma dell'Imu che salvi il 70% dei proprietari di prima casa. Uscita solo apparentemente tecnica. Di fatto, un rilancio, peraltro in versione ancora meno pro contribuenti, della proposta Pd che era stata già superata dalle varie ipotesi di compromesso. Un arroccamento sulla posizione di bandiera dei democratici che non lascia presagire nulla di buono per la cabina di regia governo-maggioranza. «Del Rio poteva stare zitto, l'Imposta deve essere cancellata per tutti», ha attaccato il capogruppo Pdl alla Camera Renato Brunetta.
L'offensiva dei renziani in realtà non è né inedita né una sorpresa. Ma dalla segreteria del Pd è arrivata anche un attacco contro ogni ipotesi di amnistia, che sa di rottura definitiva della strana alleanza. Senza contare l'intervista a Massimo D'Alema, suonata nelle stanze del governo come un benservito a Enrico Letta. Con quali esiti è difficile capirlo. «Che il governo duri è escluso. Che si vada elezioni è tutta un'altra storia», spiegava ieri un esponente Pd. Di avviso opposto il Pdl: «Se il Pd apre la crisi - secondo Brunetta - non c'è nessuna altra possibilità di nessun altro governo».
Tra smottamenti nella sua maggioranza e impegni di politica economica che si stanno mostrando più complessi del previsto, anche Enrico Letta ha cambiato strategia. Dal «fare» a una tattica più politica, che guarda sia al fronte interno al Pd, sia a quello esterno. E non esclude elezioni.
Per resistere dentro il partito, c'è da aspettarsi da Letta ulteriore irrigidimento sul fronte giustizia e Berlusconi, in modo da non lasciare ai concorrenti - Matteo Renzi, in primo luogo, ma anche la sinistra interna - il monopolio dell'antiberlusconismo. Sul fronte esterno c'è sempre l'Imu.
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