Milano «É opinione della Camera Penale di Milano che l'iniziativa editoriale del giudice Gennari ha metodo e contenuti tali da minare l'imparzialità e la terzietà del giudice stesso». Termina così l'atto di accusa che l'associazione degli avvocati penalisti milanesi lancia contro Giuseppe Gennari, uno dei più esperti e autorevoli giudici per le indagini preliminari in servizio nel capoluogo lombardo. Il tema è quello cruciale delle esternazioni pubbliche dei magistrati. Come si concilia il loro diritto di cittadini a esprimersi con il loro dovere alla riservatezza? Secondo gli avvocati milanesi, Gennari ha scavalcato il confine, e ampiamente. Ha pubblicato un libro sulle inchieste che lui stesso ha gestito come giudice. Ha messo in pagina i verbali resi davanti a lui durante l'inchiesta, arricchendo il racconto anche con le descrizioni del clima che regnava nelle stanze degli interrogatori. E ha dato per assodate colpe che sono ancora da accertare, perché alcuni dei processi sono in corso: e uno si è peraltro concluso con l'assoluzione con formula piena.
Il libro di Gennari si intitola «Le fondamenta delle città» ed è uscito pochi giorni fa per i tipi di Mondadori. Duecentotrenta pagine che analizzano in profondità il fenomeno della penetrazione della 'ndrangheta in Lombardia, dal fronte più strettamente criminale, al riciclaggio nell'edilizia e nei lavori pubblici, ai contatti con la politica e con le istituzioni. Sono temi che Gennari conosce perfettamente perché portano la sua firma le più importanti ordinanze di custodia di questi anni contro la malavita calabrese, quelle che su richiesta del pool antimafia di Ilda Boccassini hanno spedito in cella centinaia di esponenti dei clan o presunti tali. Ma proprio qui, dicono gli avvocati, sta il problema.
«L'Autore - si legge nel comunicato della Camera penale - ha utilizzato verbali di interrogatorio cui ha proceduto personalmente, arricchendo il contenuto degli stessi con la descrizione di sensazioni e stati d'animo vissuti in prima persona nel compimento di atti propri dell'esercizio della funzione giurisdizionale». Oppure: «si è spinto sino a trattare di vicende processuali ancora pendenti e ancorché definendole tali, le ha fatalmente proposte come verità ormai acquisite». Secondo gli avvocati, «gli atti processuali, la stessa ricostruzione giudiziaria di un fatto, non possono essere utilizzati dal giudice - di quel processo e di quel fatto - come canovaccio di una narrativa a carattere saggistico, nell'ambito della quale il giudice-scrittore prende posizione sulla sussistenza e sulle caratteristiche di un fenomeno criminale, per di più narrando di fatti recenti, indicando nomi e cognomi delle persone imputati negli stessi, con le intuibili conseguenze che ne derivano».
Anche i giudici, premettono i penalisti nel loro documento, hanno ovviamente pieno diritto a manifestare il proprio pensiero, ma secondo «criteri di equità e misura»: «è evidente come tali principi avrebbero dovuto ispirare l'autore in modo da evitare che la pubblicazione del libro in questione fosse fonte di indebolimento delle fondamentali caratteristiche di indipendenza e imparzialità su cui deve costantemente basarsi la funzione giurisdizionale».
Parole pesanti, come si vede, quelle della Camera Penale: alle quali il giudice-scrittore non ha fin qui ritenuto di replicare. Di certo c'è che il «caso Gennari» segna un brusco salto di livello dell a polemica tra avvocatura e magistratura a Milano.
I processi diventano romanzo Legali contro giudice-scrittore
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