Politica

Imposimato difende (male) Esposito

"Non l'ho sentito parlare di Berlusconi e Vanna Marchi". Ovvio: a tavola non sedeva a fianco del giudice amico

Imposimato difende (male) Esposito

Chi sono, molti di voi già lo sanno: quell'infame che per primo, sabato scorso, ha osato rivelare qualcosa di spiacevole su Antonio Esposito, il presidente della sezione feriale della Suprema Corte di Cassazione che ha confermato la condanna definitiva a carico di Silvio Berlusconi. L'obiezione che mi viene mossa da più parti - giornalisti, lettori, blog e vituperatori di professione - è la seguente: perché non ha raccontato prima della sentenza la storia delle parole pronunciate dal magistrato che doveva giudicare Berlusconi? È la domanda che si pone anche Ferdinando Imposimato, presidente onorario aggiunto della Cassazione, fraterno sodale di Esposito, in un'intervista apparsa ieri sul Fatto quotidiano. Colgo l'occasione, direbbe il mio amico Luca Goldoni, per rispondere a tutti.

MILELLA

Martedì 16 luglio rientro da una vacanza in Francia. Venerdì 19 sulla Repubblica m'imbatto nel seguente inciso di un pezzo firmato da Liana Milella: «Antonio Esposito, considerato negli ambienti dell'ex premier una toga “nemica” di Berlusconi, “uno da cui è scontato che arrivi una condanna”». (Mi sono documentato a posteriori: la composizione del collegio fu decisa con decreto del primo presidente della Cassazione, Giorgio Santacroce, il 21 maggio scorso: in precedenza nessuno poteva sapere che a Berlusconi sarebbe toccato il giudice Esposito).
Mi rendo subito conto che si tratta dello stesso Esposito che il 2 marzo 2009 all'hotel Due Torri di Verona, a una cena del Lions in cui sedevo alla sua destra, aveva rivelato a me e a un altro commensale che esistevano intercettazioni telefoniche nelle quali Berlusconi dava la pagella a due deputate del Pdl in base alle loro prestazioni sessuali e che si accingeva - lui, Esposito - a graticolare quell'emerita imbrogliona di Vanna Marchi (come avvenne meno di 48 ore dopo con sentenza definitiva di condanna emessa dallo stesso Esposito).

SMS

Avviso il direttore Alessandro Sallusti con un Sms inviato alle ore 15.43 del medesimo giorno (prova fotografica a disposizione). Però è la mia parola contro quella di un giudice, e che giudice. Urge rintracciare l'altro testimone che a quella cena sedeva alla sinistra di Esposito e che ascoltò le sconcertanti esternazioni del magistrato. È un funzionario dello Stato, che dirige una struttura dove la settimana corta comincia il venerdì pomeriggio. Non avendo recapiti telefonici privati, gli spedisco senza troppe speranze una mail alle ore 16.33 del 19 luglio, chiedendo se può fornirmi un suo numero di cellulare. L'interessato mi risponde per posta elettronica alle 14.38 del sabato. Chiamo immediatamente: il telefonino risulta spento. Idem nei giorni successivi.

TESTIMONE 1

Il 23 luglio mi rivolgo all'ufficio statale dove il testimone lavora, ma scopro che è stato collocato in pensione il giorno prima: «Qui non torna più di sicuro», m'informa la segretaria. Il 24 luglio (ore 11.06) finalmente riesco a rintracciarlo sul cellulare. Gli rammento i particolari che quel magistrato giunto da Roma, di cui egli ignora l'identità, ci raccontò alla cena del 2009, ricevendo per ognuno di essi invariabilmente la stessa risposta, nonostante fossero passati più di quattro anni: «Sì che mi ricordo!». Quando gli faccio presente che si tratta del giudice che deciderà il destino di Berlusconi, sussulta: «Ma va' lààà! Ma va' lààà! Dìmene altre!», cioè dimmene altre, perché a questa non posso credere. La registrazione della telefonata dura 5 minuti e 12 secondi.

TESTIMONE 2

Io non so come si regolasse Imposimato nelle sue indagini quand'era pubblico ministero. Per parte mia posso dire che quella conferma era solo un tassello del mosaico. Dovevo cercare un altro autorevole testimone, che al Due Torri non sedeva al nostro tavolo ma che in passato m'aveva confidato d'aver appreso dalla viva voce del giudice Esposito le stesse enormità ascoltate da noi. Costui mi ha ribadito che l'eminente personaggio della Cassazione considerava Berlusconi «un grande corruttore» e «il genio del male». Questa seconda testimonianza (29 minuti e 30 secondi) ho potuto raccoglierla alle ore 15.45 del 2 agosto, a sentenza già pronunciata.

AIUTINO

«Se lo avesse scritto prima magari l'avvocato (di Berlusconi, ndr) avrebbe potuto fare qualcosa», dice l'amico di Esposito al Fatto. Vede, dottor Imposimato, io non sono stipendiato per dare una mano nei processi al fratello del mio editore, esattamente come lei che era pagato da Mediaset solo per dirimere le beghe condominiali a Forum su Rete 4, e mi sorprende il suo velato rimprovero per la mia intempestività. Le confesso: tutto sommato non mi dispiace che la rigorosa ricerca si sia conclusa dopo che l'ex premier era stato condannato. Infatti che cosa si sarebbe detto e scritto se un cronista «servo di Berlusconi» avesse tentato sul giornale di famiglia di salvare il Cavaliere alla vigilia dell'udienza? No, il suo amico Esposito e gli altri quattro del collegio di Cassazione non potranno mai accusarmi d'aver intralciato la giustizia.
Spiega Imposimato al Fatto: «Quella sera io c'ero e non ho sentito nulla di quanto riportato da Lorenzetto. Mi sembra una cavolata». La ringrazio della formula dubitativa («mi sembra») e dell'oculata scelta lessicale («cavolata», cioè balordaggine, sciocchezza, stando allo Zingarelli). Avrebbe potuto dire: «È una falsità». Ma non l'ha detto, da persona ammodo e prudente qual è. Amicus Plato, sed magis amica veritas, mi è amico Platone, ma mi è più amica la verità. E lei, l'amico di Platone, quella sera non poteva certo udire i discorsi che ho riferito perché: 1) stava alla mia destra, dunque distante da Esposito, a un tavolo amplissimo, dove sedevano una decina di ospiti; 2) gli invitati erano un centinaio e sotto le storiche volte del Due Torri il brusio era notevole; 3) il suo collega di Cassazione non usava il megafono: conversava a bassa voce con i due commensali a lui più vicini; 4) le esternazioni sono avvenute verso la fine del convivio, quando lei era impegnato a ricevere l'ossequio di chi s'apprestava ad andarsene.

STRANEZZE

Ecco perché la sua successiva asserzione («quella sera davanti a me Esposito non ha detto nulla né su Berlusconi e le deputate né su Vanna Marchi») suona pleonastica, considerato che il suo amico non parlava con lei ma con me. «E mi sembra strano che si sia lasciato andare a confidenze suscettibili di rilievi disciplinari con un giornalista e altri commensali che non erano suoi amici», soggiunge. In effetti è sembrato strano anche a me che Esposito anticipasse una sentenza a tavola, tanto che avevo già citato l'episodio nel libro Visti da lontano (Marsilio), uscito nel 2011, dunque in epoca non sospetta. Ma Imposimato converrà che la stranezza ha trovato una spiegazione logica dopo che l'Italia intera ha ascoltato le improvvide dichiarazioni telefoniche in dialetto napoletano che il giudice Esposito ha elargito lunedì scorso al conterraneo Antonio Manzo del Mattino («lo conosco da 40 anni, se fa il giornalista lo deve solo a me», ha spifferato furioso mercoledì alla Repubblica, con ciò notificandoci che i magistrati favoriscono le carriere dei cronisti amici, un molesto sospetto che ci perseguitava da tempo).

AMICIZIA

Cosicché oggi quella parte di opinione pubblica che non sia accecata dall'odio si rende ben conto che i comportamenti del giudice Esposito sono risultati in almeno due occasioni assai discutibili, mentre un magistrato, e tanto più un magistrato della Suprema Corte, dovrebbe sempre essere (e anche apparire) inattaccabile sotto tutti i profili. Imposimato non s'è mai accorto di tali comportamenti? Eppure una fonte affidabile, con la quale entrambe le toghe - quella in pensione e quella in servizio - intrattengono relazioni confidenziali, mi assicura che il figlio del giudice Esposito (magistrato anche lui, noto alle cronache per una cena con l'imputata Nicole Minetti) il 25 maggio 1973 fu registrato all'anagrafe col nome Ferdinando proprio in suo onore, gentile dottor Imposimato. Magari non è affatto vero e, del resto, il dettaglio ha ben poca rilevanza. La sua familiarità quarantennale col giudice Esposito traspariva dalla difesa sul Fatto, e questo le fa molto onore, perché gli amici si vedono nel momento del bisogno. Però temo che con quell'intervista priva di firma lei non abbia reso un buon servizio alla verità.

E neppure all'amico.

Commenti