Industria in ginocchio schiacciata dai debiti Si salva solo con l'estero

L'industria italiana è sempre più in ginocchio: i margini privati precipitano, la crescita arriva solo dalle acquisizioni, l'occupazione soffre e l'indebitamento è in salita. Tanto che, se le imprese fossero banche, dovrebbero essere ricapitalizzate. È il quadro a tinte fosche che emerge dall'ultimo rapporto R&S Mediobanca sui 50 maggiori raggruppamenti italiani quotati in Borsa (banche e industria) e che analizza il periodo 2007-2011. In linea, peraltro, con la fase di recessione economica che affligge il Paese.
Quattro anni persi per l'industria italiana, il cui il fatturato aggregato è cresciuto del 29% cumulato, mentre il margine operativo netto (Mon) è salito del 3,8%. Grazie a Enel e alle utilities locali i margini del settore pubblico salgono del 10,5% (2007-2011), mentre nel privato il «Mon» è sceso del 5,3% sul 2007: -1,8% i servizi e -9,3% la manifattura. Non solo. Senza le acquisizioni di Endesa (l'Enel) e Chrysler (Fiat) il «Mon» del pubblico sarebbe al palo; quello della manifattura in caduta del 22,3%. E precipita anche l'utile al livello minimo del quinquennio: -62,3% sul 2010 e del 70,8% sul 2007, con un gruppo su quattro in perdita. Nel frattempo i dipendenti in Italia diminuiscono del 4,9% sul 2007 e l'incremento occupazionale si scarica tutto sull'estero (+35,8%).
Non lascia tranquilli neanche l'indebitamento, che peggiora sul 2010 (al 103,6% dal 95,8% il rapporto tra debiti finanziari e mezzi propri). Tanto che se le imprese fossero banche sarebbero obbligate a ricapitalizzarsi, rileva Mediobanca, facendo un paragone con la regolamentazione bancaria e i livelli minimi richiesti nel rapporto tra attivi e patrimonio. Il peggioramento ha coinvolto oltre il 60% dei gruppi: insomma, gran parte delle industrie nazionale ha ormai più debiti che mezzi propri.
Molto appesantite dai debiti sono le ex municipalizzate, ma nel complesso il settore pubblico fa meglio del privato. Rispetto al 2007, invece, i gruppi pubblici mettono a segno un miglioramento e i privati peggiorano. Ed evidenziano risultati «abnormi» se si considerano i mezzi propri tangibili, con un'incidenza dei debiti finanziari che sale addirittura al 2.100% nel 2011, «ossia 21 euro di debito per ogni euro di patrimonio tangibile». Lo stesso rapporto si ferma molto più in basso, a quota 155,5, per i gruppi pubblici.
Le uniche note positive arrivano dai campioncini del made in Italy: Campari, Tod's, Recordati, Tenaris e Luxottica. Sono questi i cinque 5 gioielli che nel 2011 hanno messo a segno le performance migliori per redditività, con rapporti tra margini e fatturati che vanno dal 13% di Tenaris, a più del 20% per le altre quattro società.
Passando alla zona-banche, nell'anno in cui il famigerato spread è diventato famoso, si registrano tutte le debolezze del settore. Nel 2011 le cinque maggiori italiane (Intesa Sanpaolo, Unicredit, Mps, Banco Popolare e Ubi) hanno registrato un «rosso monstre» superiore ai 26 miliardi per le forti svalutazioni di avviamenti e del deprezzamento dei bond greci. E il sistema siede sulla mina dello stock dei crediti deteriorati netti che, a marzo 2012, è triplicato rispetto al 2007, sfondando quota 100 miliardi di euro, +7,9% sui 92,8 miliardi di fine 2011. Il forte incremento degli ultimi mesi si spiega in buona parte (il 55%) con l'allineamento a 90 giorni del termine per la classificazione tra gli «scaduti» di alcune tipologie di credito conseguente alla fine della deroga precedente (a 180 giorni).
C'è poi il famigerato capitolo derivati, dove anche le banche italiane sono cadute in tentazione, almeno un po': pur più prudenti delle europee, nel 2011 hanno aumentato i derivati al 9,3% dell'attivo, dal 7,1% del 2010 per 193,3 miliardi. La maggiore esposizione è di Unicredit (12,7% dell'attivo), per l' eredità dell'acquisizione della tedesca Hvb, seguita da Intesa Sanpaolo (8,1% dell'attivo). Non manca però qualche aiuto ai conti.

Gli sgravi fiscali del 2011 (il cosiddetto affrancamento degli avviamenti, provvedimento analogo al 2008) hanno comportato proventi, sottoforma di minori imposte future, per 3,1 miliardi. Mentre le operazioni di acquisto sui propri titoli subordinati nel primo trimestre 2012 hanno permesso la tenuta del risultato netto grazie a plusvalenze lorde per 1.162 milioni.

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