"In Italia la stampa è perseguitata"

Il caso del direttore del Giornale visto dal reporter inglese Mick Hume: "Quello che sta succedendo da voi è incredibile e brutale"

Il direttore del Giornale, Alessandro Sallusti
Il direttore del Giornale, Alessandro Sallusti

Londra Mick Hume è una vecchia conoscenza della stampa inglese. Si batte da sempre per avere una stampa più libera in Inghilterra. Quando scoppiò il caso delle intercettazioni illegali scrisse lunghi articoli su Spiked, il giornale online che dirige, affermando che lo Stato non deve intromettersi in questioni che non lo riguardano affatto. Lo scorso mese Hume ha pubblicato il libro There is no such thing as a free press - and we need one more than ever (Non c'è niente come la stampa libera - e ne abbiamo bisogno più che mai, ndr) esaminando i vari casi avvenuti durante questo secolo. Abbiamo pensato di chiedergli che cosa pensa del «caso Sallusti».
«Quello che sta succedendo da voi è incredibile, mi sembra che in questo momento esista una vera persecuzione della stampa in Italia. Incredibile e brutale».

In Inghilterra la diffamazione è stata depenalizzata nel 2009: Sallusti da voi non rischierebbe la prigione?

«Non all'inizio almeno, anche se la situazione non è così rosea come si può credere. È vero che adesso la diffamazione non è più reato, ma la nostra legge sulla diffamazione è una delle peggiori in Europa, soprattutto perché è difficilissimo vincere un caso se qualcuno che si sente diffamato ti denuncia. Però è vero che sei condannato solo ad una pena pecuniaria e che normalmente per il direttore - che è responsabile degli articoli dei giornalisti - paga il direttore. Il problema casomai si pone in un secondo momento dato che, se non sei in grado di pagare o se non vuoi, allora si che rischi la galera».

Quando il governo inglese formò la commissione d'inchiesta Leveson per indagare sulle intercettazioni la cosa non le andò giù...

«Si, perché penso che semplicemente lo Stato non debba occuparsi di questa cosa. E non perché ritengo di dover difendere il caso delle intercettazioni, che è stata una vicenda molto grave, ma perché qui si discute di un principio. E se si permette allo Stato di mettere le mani su un principio come la libertà di stampa, allora non si sa mai dove si può andare a finire. All'inizio siamo stati in pochi a sostenerlo, adesso invece che il governo sta spingendo per una regolamentazione più severa, anche gli altri si stanno preoccupando».

Si riferisce a chi? Agli altri giornali?

«Mi riferisco a quella stampa che all'inizio ha pensato che quelle pene più severe andassero bene per i tabloid, la stampa scandalistica, i giornali del popolino e non per la stampa seria. Ma se si tocca un principio, tutti ne pagano le conseguenze! Adesso anche gli altri ne stanno prendendo atto e dicono “Ops, non è questo che volevamo”».

Insomma, la stampa qui non è poi così libera, lo Stato non deve ficcare il naso nelle sue cose. Alla fine c'è qualcuno che può o deve farlo?

«Guardate io penso una cosa. Primo, che per la stampa non devono esserci delle leggi speciali. Se la stampa commette un errore, che venga sottoposta alla stessa procedura a cui verrebbe sottoposto un altro cittadino. E poi ritengo che a giudicare la stampa debba essere soltanto il suo lettore, nessun altro».

Niente leggi speciali? Quindi ritiene che oggi la stampa non abbia un potere superiore ai semplici cittadini?

«Non dico questo. La stampa non è perfetta e qui in Inghilterra ci sono molti problemi.

In questo momento storico però, sia qui che in Italia, i politici hanno perso autorevolezza nei confronti dei loro elettori e la stampa è stata costretta a prendere il loro posto. Proprio per questo deve poter dire quello che ha da dire. Oggi più che mai».

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