Milano - Se il segretario Pier Luigi Bersani e compagni avevano pensato che Filippo Penati avrebbe fatto come Primo Greganti, si son dovuti ricredere. Altri tempi e altra stoffa quella del «compagno G», il perfetto comunista che nella bufera di Mani pulite rimase zitto davanti ai magistrati che lo accusavano di aver preso nel Pci una tangente nell'affare Enel. Perché dopo la richiesta di rinvio a giudizio di ieri, Penati ha rotto quel silenzio che si era imposto dopo essere entrato nella lista degli indagati della procura di Monza che ipotizza corruzione, concussione e finanziamento illecito ai partiti per un giro di tangenti sulle aree ex Falck e Marelli di Sesto san Giovanni. Segno che Penati, da abile politico qual è, ha subito sentito puzza di bruciato. Soprattutto a sinistra, dove già circolano richieste di dimissioni dalla carica di consigliere regionale a cui non ha mai rinunciato. «Vogliono che me ne vada? Io allora - replica l'ex sindaco di Sesto e capo della segreteria di Bersani - chiedo che mi venga applicato lo stesso metro di giudizio di Vendola, la cui posizione è per alcuni aspetti ben più grave della mia». Un messaggio chiaro e un ordigno che esplode nel campo già abbastanza bombardato delle primarie a sinistra. E del resto a chiedere a Penati di andarsene, era stato già qualche settimana fa anche Matteo Renzi con «un appello pubblico a Filippo Penati perché rinunci alla prescrizione. Un bel gesto. E mi auguro che possa provare la sua innocenza». E a voler cercare il retroscena, si potrebbe dire di un attacco di Penati a Vendola che di Bersani, alle prossime primarie, potrebbe diventare il miglior alleato contro l'avanzata di Renzi e dei renziani pronti a decapitare i boiardi del Pd.
Guerre di posizione che stanno terremotando il Pd, ma non spaventano un Penati pronto a ritagliarsi un ruolo decisivo nella battaglia che sta decimando il suo ormai (almeno formalmente) ex partito. «Mi sono autosospeso dal Pd e dimesso dal gruppo consiliare, ma loro mi hanno anche cancellato dalle liste. Forse avevano paura che ci ripensassi». Tanto per capire il clima. «Vendola è stato applaudito quando ha comunicato che avrebbe chiesto il rito abbreviato che comunque gli garantisce uno sconto di pena - prosegue la sua arringa Penati, nemmeno fosse davanti a un comitato centrale - mentre io chiedendo un processo immediato, affronterò subito e a viso aperto i miei accusatori». Senza sconto di pena. «Sottolineo - aggiunge - che le accuse nei miei confronti non riguardano la mia carica attuale e sono relative a episodi risalenti a molti anni fa». Come a dire che per Vendola non è proprio così. Che quelle accuse colpiscono il leader di Sel nel vivo della sua attuale attività di governatore della Puglia. Che le dimissioni nemmeno ipotizzate dal politico con l'orecchino, né mai chieste dalla sinistra cominciano a pesare. E sicuramente peseranno se, come sembra, il messaggio trasversale inviato da Penati a Bersani non sarà l'ultimo. Perché i magistrati andranno avanti, i testimoni sfileranno davanti ai giudici e Sansone difficilmente resisterà alla tentazione di trascinare con sé tutti i filistei. Perché anche ieri ha ricordato di quando era «a capo della segreteria di Bersani». Dovesse essere provato quel sistema di tangenti, sarà possibile dimostrare che non abbiano preso la strada per Roma? Starà ancora zitto il «compagno P»?
Tutti contro tutti nel Pd. E proprio ieri, giorno della richiesta di rinvio a giudizio del bersaniano Penati, a Sesto san Giovanni tre consiglieri del Pd e un ex Margherita sono passati con Renzi. E il sondaggio Emg per il Tg La7 ha dato un'altra botta al segretario. Chiamati a rispondere sulla possibilità di scegliere il futuro premier il 19% ha scelto Mario Monti, l'11% ha optato rispettivamente per Silvio Berlusconi e Bersani, ma il 13%, due punti in più del leader Pd, ha scelto Matteo Renzi. A Roma il deputato del Pd Ugo Sposetti, ex tesoriere Ds, invoca la ramazza. «Il Pd - ha dichiarato - non deve ricandidare i consiglieri regionali uscenti». Perché lo scandalo dei fondi «ha danneggiato in modo gravissimo l'istituzione regionale e i partiti» e dunque «tutti i gruppi devono chiedere scusa ai cittadini e i singoli consiglieri tornare alle precedenti occupazioni. Non muore mica nessuno». Una buona occasione, sembrerebbe, per far fuori la vecchia guardia veltroniana.
«Le primarie non sono un regolamento dei conti, dove chi perde scappa», ha detto ieri Renzi nella sua tappa di Teramo, sapendo di cosa parla. Mentre Vendola affiderà oggi a internet la sua decisione: quelli di Sel dicono sia pronto a correre per la guida del centrosinistra. E allora altro che i Balcani.
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